La leggenda vuole San Giorgio salvatore della bella
Margherita, figlia del re di un territorio vicino all’attuale
Beirut, la quale prescelta dal fato come vittima
sacrificale per la salvaguardia del suo paese si trovava a
fronteggiare le fauci di un tremendo drago. San Giorgio,
condotto in quei luoghi dal suo pellegrinaggio, accorse
in aiuto della giovane principessa in lacrime ed
affidandosi a Dio affrontò la terribile creatura. Il santo
ferì la bestia con la sua lancia e gli mise al collo la sua
cintura affinché la giovane Margherita potesse condurla
trionfante entro le mura cittadine. Dal re Giorgio ebbe in
dono molto oro, ma lo donò ai poveri, battezzò il re e
riprese il suo cammino.
Da allora l’iconografia cristiana vuole il santo inevitabilmente legato alla figura del
drago, ed in questo modo è giunta a noi contemporanei l’immagine di un cavaliere
eroico su di un cavallo bianco che trafigge il simbolo dell’ignoto, dell’incredibile,
dell’irrazionale.
Una lettura laica di quest’immagine porterebbe a pensare al trionfo della ragione
sull’immaginario, chiuso in una corazza di razionalità l’eroe della ragione affronta e
sconfigge il mostro dell’incertezza, dell’imprevisto in nome dell’ordine, del prevedibile,
del rassicurante già noto.
In questa immagine quindi è riassunto anche un certo modo di fare formazione, fatto di
tecniche consolidate di insegnamento, di saperi monolitici, di distanze incolmabili, di
“modi giusti” e “modi sbagliati” di fare le cose. Non tutta la formazione vuole esser
fatta oggetto di critica, è indubbio che certe situazioni locali, certi contenuti specifici,
certi obbiettivi, e a volte anche certi bisogni richiedano una formazione di tipo
addestrativo con riferimenti forti che lascino poco spazio a voli pindarici non sostenuti
dall’esperienza e dalla pratica. Ma ciò che qui si critica, più che il metodo, è la teoria di
riferimento che in molti casi si pone alle spalle del metodo stesso, una teoria di
riferimento didatticistica, che preferisce l’aula e il rapporto frontale tra formatore e
formando, ponendo “il sapere disciplinare” al di sopra delle domande, degli interessi,
delle interpretazioni di colui che tale sapere dovrà acquisire.
L’immagine del drago oltre che alla paura può essere associata all’immaginario, al
meraviglioso, al fantastico.
L’aggettivo meraviglioso si riferisce a un fatto o a un sentimento sorprendente, positivo
o negativo, che irrompe nella realtà scompigliandola e dandole un altro significato. Il
fantastico esprime la capacità della mente di immaginare ciò che non esiste nella realtà.
Il termine, che ha origine dal greco phantastikòs (dal verbo phantàzo che significa “io
mostro”), indica un’azione che coinvolge altre persone.
Entrambi i significati sono racchiusi nella figura del drago così come nel termine
immaginazione che descrive la capacità umana di dare nuovi significati al mondo, di
creare.
Ciò che vorrei proporre in questa tesi quindi è un incontro tra San Giorgio e il drago,
non più una battaglia ma un dialogo tra la ragione e l’immaginazione, perché l’una
alimenti l’altra senza più distinzione tra le due.
Un nuovo modo di vedere l’imprevisto all’interno del rapporto formativo, non più un
ostacolo da affrontare e superare per poi tornare sulla retta via, ma la possibilità di
accrescere il percorso formativo intrapreso, l’imprevisto come risorsa che permette di
approfondire nuove dimensioni e nuovi oggetti della conoscenza. Un imprevisto che
nasce dall’incontro vero e sincero tra educatore ed educando e che si trasforma nella
creazione comune di un sapere nuovo e originale. Non è il tentativo di abolire la
distanza tra le due figure protagoniste dell’agire educativo, al contrario tale dislivello
deve essere riconosciuto ma non perché l’uno dia all’altro un qualche sapere, ma
affinché l’uno stimoli l’altro ad intraprendere un cambiamento. E’ solo il cambiamento
infatti che garantisce l’apprendimento ed il cambiamento può partire solo da se stessi,
dai propri bisogni, dai propri desideri e dalle proprie fantasie.