Un periodo difficile e turbolento per i videogame online. Il mercato, infatti, sta subendo quello che potremmo chiamare un “periodo di rivoluzione”. Negli ultimi anni, appunto, i trend dei videogames non hanno solo accelerato e anche di molto il ricambio di generi e stili grafici più apprezzati, ma hanno subito molto più di altre industrie l’incredibile e talvolta eccessivamente veloce avanzamento tecnologico, sia in termini di pura potenza di calcolo delle CPU e delle GPU, sia per quanto riguarda le connessioni, ormai in grado di supportare una quantità di dati spaventosa.
Questi cambiamenti hanno messo in moto la grande macchina dell’innovazione, rendendo i giochi online sempre più elaborati e quelli in “single player”, ovvero senza modalità online, molto più simili al giocare un film che a qualsiasi cosa ci fossimo abituati fino a pochi anni fa. Eppure occorre soffermarsi particolarmente sulle realtà online e il loro boom, cominciato certamente in maniera “timida”, con giochi del calibro di Unreal Tournament e Quake a stabilire una sorta di trend, che si è poi evoluto nell’epoca d’oro degli MMORPG, con titoli su titoli rilasciati nel giro di una manciata di mesi.
I videogiochi “games as a service”: è la fine di un’era?
Oggi, a distanza di ormai diversi anni dal “tramonto” degli MMORPG, stiamo assistendo al lento decadimento non solo dei nuovi generi come il battle royale e gli hero shooter, ma soprattutto dei giochi “game as a service”, ovvero tutti quei titoli che non hanno mai una reale fine, ma che vengono sviluppati continuamente, aggiornati e fatti rimanere online esattamente come se fossero un servizio offerto ai propri clienti, in maniera per nulla diversa da un noleggio auto online, o un’agenzia turistica sul web.
Prendiamo ad esempio un gioco in funzione da molti anni, famoso e conosciuto da chiunque, come World of Warcraft. La Blizzard, in seguito all’uscita di uno degli MMORPG più longevi e attivi di sempre, ha creato un team incaricato in maniera pressoché esclusiva di sviluppare nuovo contenuto, progettare e realizzare nuovi dungeon, espansioni, correggere i bug e in generale occuparsi selettivamente di ogni “obiettivo” mensile o annuale posto in essere dai manager della società.
WoW è diventato, con il tempo, così estremamente complesso e poco “new player friendly”, da necessitare diversi interventi al fine di creare abbastanza contenuto per i giocatori veterani e dare modo ai nuovi di non rimanere troppo indietro, dandogli qualche “spintarella” rispetto a quello che hanno dovuto passare coloro che hanno giocato determinate porzioni di gioco mesi, o persino anni prima.
Il “service”, dopotutto, non può essere unilaterale: essendo i giocatori, paganti, i “clienti”, si deve creare un ambiente dove sia chi gioca da tempo che chi ha appena iniziato abbiano i giusti motivi per continuare ad andare avanti e investire altro tempo (e soldi) nel sistema.
Tutto ciò, però, sta arrivando a un fine corsa piuttosto brusco. Solo per quanto riguarda il 2023, di cui non abbiamo vissuto neanche due mesi, sono state annunciate le chiusure di Apex Legends Mobile, lo stop allo sviluppo di Battlefield Online, il termine vita di Knockout City e molti altri titoli la cui “vita” è stata estremamente breve. Mentre i costi di sviluppo e mantenimento di tali giochi si gonfia e aumenta, la concorrenza inizia a farsi pesante, con una platea di clienti che, però, comincia a guardare altrove, ben oltre il semplice “online” e riscopre il piacere dei giochi in singolo, oppure di grandi classici che appaiono come eterni e immortali.
Le aziende cercano la soluzione definitiva, ma gli indizi che abbiamo sembrano puntare a un’evoluzione di questi sistemi con un dirottamento verso il mondo degli NFT, che potrebbero essere presentati come contenuto di gioco liberamente “commerciabile” su delle specifiche piattaforme. Per chi è familiare con Counterstrike e il mondo di Steam, dovrebbe suonare tutto un po’ familiare: le skin delle armi, ovvero l’aspetto applicabile all’equipaggiamento in gioco, è da anni un vero e proprio mercato con tanto di fluttuazioni, cadute e rialzi di prezzi, oggetti costosissimi e altri a pochi spicci. Lo stesso Steam ha integrato le “trading cards” dei videogiochi, ottenute passivamente mentre giochiamo ai titoli, che fungono come una sorta di merce di scambio per ottenere moneta virtuale di Steam, o addirittura su alcune piattaforme come una forma di “moneta” diretta, con un suo specifico valore.
I timidi passi verso una nuova soluzione
In effetti, l’industria ha cominciato un po’ a smuovere le acque degli NFT, con risultati non sempre incoraggianti. L’esempio più di successo che abbiamo al momento sono le realtà di gioco d’azzardo, nello specifico i nuovi casinò 2023, che hanno inserito fra le forme di ricarica le criptovalute.
La strada è tutt’altro che facile, a causa anche di una legislazione non esattamente pronta a quella che potrebbe essere una nuova svolta a tutti gli effetti. Eppure questo non spaventa chi, evidentemente, ha visto nel mondo “crypto” qualcosa di più che un semplice scambio di figurine virtuali e codici su uno schermo. Le criptovalute sono un territorio che sta venendo esplorato davvero solo adesso, mentre gli NFT sembrano persino in una forma quasi “primordiale”, con poche realtà affermate e l’assenza di una sorta di piattaforma univoca a cui affidarsi. OpenSea è certamente il nome più rinomato, ma è ben lontano dall’essere quella sorta di “portabandiera” che traina le grandi rivoluzioni.
La strada potrebbe essere ancora molto lunga, specialmente considerato l’approccio troppo utilitaristico delle case produttrici in merito a NFT e criptovalute, ma tutto porta a pensare che questo è solo l’inizio di un qualcosa che cambierà profondamente il mondo dei videogiochi.