Oggi, amici miei, voglio darvi qualche infarinatura sul come creare linguaggi per live, sessioni di ruolo o, per i più coraggiosi, racconti interi. Qualche mese fa, parlando del Progetto Phoenix, il mio alleato preferito Victor Draco parlò del mio metodo per «ogni ambientazione attiva, equilibrata e coerente». Tra i parametri a cui si dovrebbe dare risposta c’è quello del Linguaggio: «… è abbastanza semplice da non richiedere troppe delucidazioni. Ricordate soltanto che il linguaggio di un popolo rispecchia il suo schema di pensiero. Anche solo per fare qualche esempio si finirebbe per scrivere come minimo un saggio e, oltre a non essere la sede idonea, io non sono minimamente qualificato per farlo (ma il prof. Nebugiat sì). Ergo se vi interessa documentatevi, che sono certo il materiale abbondi. Potrebbe non battervene un benemerito, ma se vi ci volete dedicare, Bla è una di quelle cose che impreziosiscono davvero tanto l’atmosfera…».
In quel contesto si discuteva solo di ambientazione; ma recentemente ad un pranzo di non lavoro ho trovato Shaney Kariyu che stava studiando dei rituali per il suo prossimo live scritti in grafia aramaica, poi Synne Red che preparandosi per un ben noto ConQuest (di una certa Mythodea e non aggiungo altro!) mi chiedeva delucidazioni per un ipotetico linguaggio. Quindi si tratti di narrativa, di giochi di ruolo cartacei o live, coloro i quali desiderano rendere sempre più realistica qualsiasi ambientazione si impegnano anche nel creare, sviluppare o apprendere un linguaggio particolare che identifichi il proprio ruolo, permetta una produzione poetica (ballate intorno al fuoco, epica ecc…) e soprattutto individui la comunità di appartenenza (elfi, nani, gobbi, ballerine, cuccioli di Shub Niggurat ecc…).
In primis dobbiamo decidere quale linguaggio usare: comunicazione verbale, comunicazione non verbale, comunicazione animale.
Perché si tratta di creare una tipologia comunicativa, un’associazione tra un’espressione sensibile e un contenuto interno a essa, tra uno o più membri della stessa comunità, ma anche estranei; poiché se il linguaggio (logos) identifica il gruppo, ne delimita anche i suoi confini che sono chiari ed evidenti a chi ne fa parte o meno. Esso è uno dei simbolici valori che costituiscono la formazione storico-sociale del gruppo, il mito di fondazione assieme alla memoria storica (epos), alle norme di convivenza (ethos), ai rapporti di parentela e lignaggio (genos), al territorio (topos), alla domesticità utilizzabile (oikos).
L’identità collettiva si basa sulla partecipazione a un sapere e a una memoria comuni, trasmessa in virtù del fatto di parlare una lingua comune, o attraverso un sistema simbolico comune. Infatti non si tratta solo di parole, frasi e testi, ma di riti e di danze, modelli e ornamenti, costumi e tatuaggi, del mangiare e del bere, di monumenti, immagini, paesaggi, segnavia e contrassegni di confine. Tutto può diventare segno per codificare la comunanza: non è il medium ma la funzione simbolica e la struttura semiotica a essere determinante. La cultura è il complesso della comunanza trasmessa simbolicamente.
Le ambientazioni fantasy permettono di andare oltre il linguaggio verbale poiché tutti convivono nel medesimo sistema simbolico: la comunicazione è data dagli abiti, da particolari ornamenti, dalla fisiognomica, dalla mimica di ogni tipo di azione. Si tratta dei cosiddetti semagrammi, cioè dei simboli (grafici di solito) che rappresentano un’idea. Oggi come ieri siamo completamente immersi in una foresta di simboli (in media ne utilizziamo circa cinquecento!). L’importante è essere tutti d’accordo sul loro significato, altrimenti la comunicazione non avviene.
Non è importante parlare…
Si possono raggiungere interessanti vette di comunicazione scegliendo la comunicazione animale. Si veda ad esempio le nostre amiche api con le loro danze: la danza circolare indica che il cibo per l’alveare si trova entro i cinquanta metri, la danza detta dell’addome o del doppio anello indica le distanze superiori e la direzione (a quanto pare “entro i cinquanta metri” non è un’informazione necessaria). Se poi scegliete di utilizzare il sistema delle formiche di sicuro gli altri partecipanti al live rimarranno colpiti dal vostro coraggio: agitatevi (quando trovate il cibo) e poi o guidate direttamente gli altri alla fonte di cibo oppure rilasciate dei segnali odorosi (a voi la scelta, ma dubito che sappiate secernere feromoni a comando… vi immagino più vicini ai felini).
Allo scorso ConQuest alcuni rappresentavano un gruppo di Cinghiali. Si svegliavano la mattina, grufolavano letteralmente nel fango, la loro area era un porcile (in senso architettonico). Avevano il problema dell’accoppiamento. Esprimendosi solo con grugniti, utilizzavano un sistema molto semplice: facevano rotolare una mela. Se la gentil pulzella accettava (consapevolmente o meno) di raccogliere il frutto, accettava anche il lanciatore di mele…! Insomma il limite in questo caso è dato solo dalla vostra fantasia!
… Ma se parlate…sbizzarritevi!
Le lingue si classificano in tre tipi: isolanti, agglutinanti e flessive. I primi due tipi sono i più divertenti, il terzo tipo è la nostra lingua italiana (ma in generale tutte le lingue indoeuropee).
In un linguaggio isolante ogni parola, ogni idea è formata da una sola sillaba e la funzione della parola dipende dalla sintassi (esempio di ordine sintattico può essere il cosiddetto SVO, soggetto + verbo + complemento oggetto e una frase verbale suonerebbe come “tu-bere-acqua” oppure “io-andare-Mordor”) piuttosto che dalla coniugazione (“tu bevi l’acqua”, “vado a Mordor”). Come si vede non è obbligatorio avere né i tempi né la diatesi né una distinzione di genere e numero. È forse la tipologia più interessante e complessa da sviluppare perché permette realmente di andare oltre il nostro quotidiano (per un cinese sarebbe l’opposto perché la sua lingua è isolante) e di utilizzare, sempre se desiderato, una serie di simboli o comportamenti fisiognomici a completamento della comunicazione: se indicando con la mano un punto all’orizzonte, gamba destra avanti e piegando leggermente il ginocchio destro, grido “Tà ghén Mordor”. l’effetto non è male. Se invece indico l’orizzonte con la spada sguainata, fossi quelli di Mordor mi preoccuperei un tantino.
Volendo aumentare in proporzione la comunicazione verbale si utilizza il tipo agglutinante, dove le parole sono formate da una radice composta da una o più sillabe, che anche in questo caso non viene modificata, ma le si incollano letteralmente addosso più morfi/sillabe/parole per indicare le categorie grammaticali (numero, genere, tempi verbali ecc…). Vediamo un esempio dal finlandese: kirja (“libro”) + ni = kirjani (il mio libro) + ssa = kirjassani (nel mio libro). Se vi sembra più produttivo, potete mescolare i due sistemi: insomma di nuovo il limite è solo quello che ponete voi stessi.
Definito il tipo, dovrete iniziare a definire le parole: scegliete quelle che secondo voi vengono più naturali o suonano meglio o che vi piacciono di più, fatene un elenco partendo dal lessico più comune fino a quello particolare legato al vostro personaggio. Decidete se sono utili le definizioni di genere (donna/uomo, animato/inanimato, magico/non magico) e numero, come gli stessi tempi verbali (ci si può limitare allo ieri, oggi e domani). Insomma perdeteci tempo, d’altronde Tolkien ha fatto lo stesso e io non voglio che vi fermiate alla creazione del linguaggio e alla comunicazione nel live: se non mi cantate dei poemi epici, per quanto brevi, ci rimarrei molto male!!!
E poi dovete provarlo perché, come nella realtà, linguaggio e comunicazione si sviluppano grazie all’interazione; le riunioni cultuali e culturali sono il mezzo migliore per la trasmissione della lingua, così potrete insegnare il vostro nuovo e personale strumento di comunicazione proprio durante il live: attorno al fuoco, durante una battuta di caccia, nel mezzo di un rituale. Infine, se volete farmi contento, decidete anche il sistema grafemico da utilizzare per il quale potete seguire certe mie indicazioni… ma questo è materiale per un prossimo intervento!