Utilizzo, come introduzione alla tesi, le parole di Gianfranco de Turris e
Sebastiano Fusco, tratte da un loro piccolo saggio:
«Durante il lunghissimo e tragico Novecento, tre scrittori fantastici hanno
giocato un ruolo fondamentale nel tracciare le coordinate dell’interminabile
“cultura della crisi”. Il primo è Borges: ci ha insegnato che è da stolti cercare in un
solo libro il significato della realtà. Il mondo è invece un’immensa Biblioteca di
Babele, e ad ogni suo volume se ne sovrappongono altri che lo aggiornano, lo
negano, lo sostituiscono. Il secondo è Tolkien, al quale siamo debitori di una
riflessione fondamentale: la Biblioteca di Babele, per quanto ci appaia infinita, è
in realtà una prigione dalla quale è nostro dovere evadere, se davvero vogliamo
meritare il nome di uomini liberi. Il terzo infine è lui, Lovecraft, che ci ha indicato
dove cercare le chiavi della prigione, quella “chiave d’argento” che spalanca la
porta sui mondi ulteriori. Non va cercata lontano: per trovarla, non dobbiamo fare
altro che scrutare dentro di noi.»
Degli ultimi due scrittori citati, Tolkien e Lovecraft, si occupa la seguente
tesi, concentrandosi sulla componente religiosa di alcune loro opere.
Quasi coetanei, il cattolico Tolkien e l’ateo Lovecraft provano infatti a
fornire una risposta ai problemi, alle inquietudini, che attraversano i primi decenni
del Novecento. E la risposta arriva innanzi tutto da quella “chiave d’argento” di
cui parla Lovecraft, ossia l’apertura al sogno. Uno scavo individuale che,
applicato alla collettività, si trasforma in mito.
Ecco allora che H.P. Lovecraft e J.R.R. Tolkien diventano gli ultimi due
veri mythmaker della società occidentale. Entrambi appassionati di mitologia,
riprendono la forma del mito nelle loro opere per dare una risposta al presente in
cui vivono. Gli esiti sono differenti, e rispecchiano il carattere e le convinzioni
religiose dei due scrittori, ma entrambi sono mossi, al fondo, dagli stessi desideri.
Sono inoltre due scrittori che, negli ultimi anni, stanno vivendo un
successo sempre crescente, su differenti livelli. Da un lato aumenta l’interesse
della critica nei confronti del loro pensiero, dall’altro si sviluppa un crescente
numero di prodotti derivati dalle opere dei due. Film, videogiochi, giochi da
tavolo, Action figures, peluches e molto altro ancora. Sacro e profano insomma,
dai saggi critici ai dadi da gioco di Cthulhu. Ma in entrambi i casi un simile
interesse dimostra come i due sappiano parlare all’uomo contemporaneo, con una
forza notevole.
Su quanto appena affermato cito il mio personale interessamento verso
Tolkien e Lovecraft, due tra i miei autori preferiti. Le loro opere sono sempre state
fonte di svago, ma anche di riflessione. La seguente tesi nasce anche da questa
passione.
Per Tolkien si è scelto di analizzare Il Silmarillion, romanzo che si
caratterizza come una vera e propria raccolta di miti, alla maniera delle antiche
mitologie tanto care a Tolkien. Ma in lui tali forme mitiche si riempiono di
cristianesimo, alla luce della sua fede cattolica. Pertanto verrà citato anche Il
Signore degli Anelli, libro ricco di tematiche cristiane e figure stesse di Gesù
Cristo.
Per Lovecraft invece sono stati selezionati alcuni racconti e romanzi brevi,
tratti dal cosiddetto “Ciclo di Cthulhu” e dalle sue storie oniriche, così da coprire i
due poli del mito e del sogno (due poli che, come detto sopra, altro non sono che
le forme singolari e collettive di uno stesso bisogno). Gli dèi lovecraftiani sono
mostruose creature aliene, proiezioni cosmiche del Male e dei malesseri
contemporanei. La figura di Cristo, come elemento di conforto, viene a mancare
del tutto, ed il cristianesimo viene inserito al massimo in chiave parodica.
Dopo la presentazione delle opere scelte si apre, con il capitolo 2, la
comparazione tra alcuni aspetti particolarmente significativi dei loro testi. Si
comincia con la cosmogonia dell’universo tolkeniano e lovecraftiano, dominati da
divinità diametralmente opposte ma accomunati dall’elemento musicale alla base
della creazione.
Si passa poi, nel capitolo 3, all’analisi delle figure di Satana presenti nei
due scrittori. Anche in questo caso, come per il punto precedente, alla
comparazione fra i testi scelti si intreccia un secondo confronto con il testo
biblico, immancabile pietra di paragone per simili tematiche.
Infine il capitolo conclusivo analizza il peccato di hybris ed il senso del
limite. Due concetti che rimandano alla mitologia classica, oltre che al già citato
mondo cristiano. Dal tema principale si diramano altri elementi secondari (per
ordine di trattazione, non per importanza). Da un lato la Provvidenza nell’opera di
Tolkien, dall’altro il capovolgimento della hybris in alcuni racconti lovecraftiani.
Entrambi gli scrittori poi guardavano con apprensione ad un ben più reale peccato
di tracotanza: il dilagante scientismo e modernismo della loro epoca. Filo rosso tra
i due è proprio la lotta al modernismo (e non alla modernità), condotta con le armi
del mito e del sogno.