L’origine di questa tesi magistrale ha due principali radici: una prettamente
universitaria, la seconda invece di impronta personale.
Il corso di Storia e Critica del Cinema della prof.ssa Re, seguito all’incirca un anno fa,
mi ha permesso di comprendere l’importanza e il ruolo fondamentale dell’incipit di
un’opera cinematografica. In questa occasione ho avuto la possibilità di avvicinarmi
alla complessa e affascinante figura di Saul Bass, graphic designer americano attivo
dall’inizio degli anni Cinquanta, fautore consapevole del connubio cinema e grafica. Il
suo apporto ha determinato una nuova concezione dei titoli di testa, che da semplice
elenco di membri del cast e dello staff di una produzione cinematografica diventano
una parte attiva e artisticamente valida del film. Non si tratta semplicemente di un
contributo limitato all’aspetto grafico dei titoli di testa: si tratta piuttosto di conferire a
questa parte dell’opera cinematografica una valenza nuova, determinante dal punto
di vista narrativo e in grado di stabilire un primo rapporto con lo spettatore.
Studiando le opere di Bass, sono riuscita a stabilire delle connessioni con i titoli di
testa della serialità televisiva contemporanea americana: effettivamente molti dei
titoli di testa di serie televisive che seguo con assiduità iniziano già a raccontare la
storia e le vicende che la compongono. Mano a mano che realizzavo questa
corrispondenza, mi rendevo conto che True Blood, la serie televisiva che aveva
scatenato in me questa riflessione, non era l’unica. Non solo: avevo notato una
sostanziale differenza rispetto alle sigle delle serie televisive che seguivo da
bambina alla televisione, come ER, oppure Law & Order, o Streghe. Le serie
televisive contemporanee, insomma, hanno qualcosa “in più”. Documentandomi ho
potuto scoprire come il cosiddetto title design rappresenti una ben precisa fetta di
produzione grafica contemporanea e sia frutto di menti poliedriche, eclettiche, con formazioni varie, dal graphic design alla cinematografia in senso stretto, che si
raggruppano in studi di grandezza variabile e lavorano in sinergia per realizzare
prodotti complessi e di altissima qualità visuale e concettuale.
Ho scelto dunque di dedicare la mia tesi di laurea magistrale, da un lato, all’analisi
dell’attività di Saul Bass, cercando di comprenderne ogni aspetto e analizzando ogni
sfaccettatura del suo lavoro, dall’altro alla messa in relazione delle caratteristiche
del lavoro bassiano con alcune sequenze di apertura di serie televisive
contemporanee americane.
Di conseguenza la mia tesi è suddivisa in due parti: la prima, composta da quattro
capitoli, analizza l’attività di Saul Bass, mentre la seconda, composta da sette capitoli,
si focalizza sulla serialità televisiva contemporanea americana.
Della prima parte, il primo capitolo è dedicato all’approfondimento delle vicende
biografiche del nostro, dalla Art Students League con Howard Trafton fino
all’esperienza con Gyorgy Kepes, dalla grafica pubblicitaria newyorkese al cinema
hollywoodiano, passando per un matrimonio, quello con Elaine Makatura, che ha
significato una comunione non solo di sentimenti ma anche di intenti professionali, di
ispirazioni e visioni.
Il secondo capitolo invece si focalizza sull’analisi del processo creativo messo a
punto ed utilizzato da Saul Bass nel corso della sua carriera e applicato
sostanzialmente a qualsiasi tipo di commissione gli venisse affidata, da campagne
pubblicitarie a titoli di testa. Per aiutarmi in questa fase, ho sfruttato un film realizzato
da Bass nel 1968, Why Man Creates, che affronta con la tipica ironia bassiana in sette
brevi episodi ogni aspetto del processo creativo. Successivamente, ho cercato di
stabilire un confronto tra il nostro e Bruno Munari, l’industrial designer italiano
contemporaneo di Bass, che di metodo e processo creativo tanto ha scritto. Non
cercherò di applicare il metodo bassiano a quello di Munari o viceversa: al contrario
cercherò di far emergere similitudini e differenze di due designer che hanno lasciato
un segno indelebile nelle culture di appartenenza.
Il terzo capitolo tratta invece un argomento che a primo acchito potrebbe sembrare
superfluo o non del tutto pertinente con il resto della trattazione, ma che in realtà si
dimostra essere fondamentale: mi riferisco alla cosiddetta corporate image, o
immagine corporativa (o coordinata) tipica delle aziende contemporanee, che si
dotano di un apparato grafico e architettonico coordinato e orientato alla
comunicazione della complessa identità di un’azienda in maniera inequivocabile e
distinta. Saul Bass si occupa di corporate image a partire dagli anni Cinquanta e la
sua esperienza in questo campo si rivelerà centrale anche in ambito cinematografico.
Il quarto capitolo infatti, attraverso l’analisi di alcune sequenze di titoli di testa, fa
emergere le caratteristiche principali e innovative dell’opera bassiana in questo
campo, come ad esempio il valore narrativo dei titoli di testa, la cura dal punto di
vista visuale, il tentativo di creare una sequenza per il film, “al suo servizio”, in modo
che lo spettatore possa essere accompagnato dai titoli di testa all’interno della
narrazione. In particolare, mi sono focalizzata su cinque sequenze significative
nell’opera di Bass: The Man With The Golden Arm, per la sintesi grafica e per
l’inusuale e complesso apparato pubblicitario; Vertigo, in quanto frutto di una
collaborazione con Alfred Hitchcock; Around The World in Eighty Days, per l’uso del
disegno animato e dell’ironia, entrambi componenti caratterizzanti l’opera di Bass;
Spartacus, in quanto sequenza estremamente lunga, girata in live action, al contrario
delle precedenti, e per il diffuso uso della metafora; per concludere, Casino, l’ultima
potente sequenza, realizzata per Martin Scorsese, con il quale Bass ha intrattenuto
un proficuo rapporto di amicizia e collaborazione.
La seconda parte invece si articola in sette capitoli. Il primo definisce le
caratteristiche della serialità televisiva contemporanea americana, come modo di
raccontare tipico ed esemplare del presente. All’interno del vastissimo novero delle
serie televisive si individuano le serie cosiddette “di qualità”, che si distinguono per
una narrazione complessa, metaforica ed estremamente attuale e per una
realizzazione visuale curata e originale. Viene evidenziata inoltre l’importanza della
figura dell’executive producer, che nell’ambito seriale ha vastissimi poteri e autorità,
dando all’intera opera la sua impronta inequivocabile.
Inoltre la serialità televisiva contemporanea americana appartiene alla cosiddetta
televisione convergente, ovvero a un tipo di televisione espanso ed esploso, che
esce dai confini dello schermo ed invade plurimi aspetti della vita quotidiana, grazie
anche alle possibilità offerte dalla rete.
Ci tengo a sottolineare come la scelta di analizzare solo serie televisive americane
derivi da una sostanziale assenza di prodotti così complessi, stratificati, densi e
qualitativamente alti in ambito italiano.
Il secondo capitolo parte invece cerca di analizzare i progressi effettuati dal title
design in ambito seriale, definendo una tendenza generalizzata, caratterizzante le
serie televisive fino agli anni Duemila (con poche e rare eccezioni, come Twin Peaks)
in cui la sigla conteneva elementi della narrazione, esponeva il luogo dell’azione e
presentava i personaggi principali, definendone fin da subito i ruoli. Questo tipo di title
sequence viene scalzato nel 2001 dalla sequenza di Six Feet Under, in cui non
compaiono luoghi, personaggi o azioni, bensì si tratta di una serie di metafore che
riescono tuttavia a veicolare i temi principali e preparano lo spettatore alla visione, in
una maniera che ricorda moltissimo l’opera di Saul Bass.
I capitoli dal terzo al settimo sono dedicati invece all’analisi approfondita delle sigle
di quattro serie televisive americane, che ho selezionato perché ognuna è
significativa per motivi specifici.
A True Blood è dedicato il terzo capitolo, in quanto, pur essendo serie televisiva di
tema apparentemente banale (vampiri e soprannaturale), i suoi titoli di testa riescono
a tratteggiare le complesse figure vampiresche attraverso metafore visive
estremamente suggestive. Inoltre essa si configura come esempio ottimamente
riuscito di televisione convergente e serie televisiva “esplosa”: per questo motivo ho
dedicato una parte di questo capitolo alla campagna pubblicitaria per la seconda
stagione e ai poster per la terza e quinta stagione. Essi riprendono la logica
dell’immagine corporativa bassiana, la declinano con estrema ironia nel
contemporaneo, attraendo un vasto pubblico con tattiche sorprendenti.
Game Of Thrones invece occupa il quarto capitolo: ho scelto i titoli di testa di questa
serie televisiva, in quanto estremamente complessa e dotata di un apparato artistico
(costumi, location, scenografie, oggetti di scena) così curati da sembrare realmente
esistenti. I titoli di testa riassumono questa densità e aiutano lo spettatore a,
letteralmente, orientarsi nel vastissimo universo finzionale, in cui una quantità
sempre crescente di personaggi interagiscono su un continente esplorato poco a
poco. Il viaggio su Westeros diventa un modo per trattare ciò a cui non è possibile
dare uno spazio sufficiente all’interno della serie e per fornire allo spettatore dei
punti di riferimento grazie ai quali può orientarsi.
La scelta di dedicare il quinto capitolo a Mad Men deriva inizialmente da un’affinità a
livello estetico della sequenza di apertura con alcune sequenze bassiane, nonché da
una corrispondenza temporale e tematica con la vicenda personale del nostro,
essendo la serie ambientata negli anni Sessanta in una agenzia pubblicitaria di New
York. Tuttavia è mio obiettivo dimostrare come l’affinità estetica non sia frutto di
copie sterili da parte dei title designer, ma sia finalizzata a trasmettere la Stimmung
dell’epoca ai contemporanei. Inoltre, la title sequence ha ottenuto una così grande
approvazione presso la rete AMC, grazie alle sue immagini iconiche, che lo studio
creatore (Imaginary Forces) ha ricevuto anche la commissione per i poster
promozionali, rientrando quindi in quella logica di corporate image che ho già toccato
per quanto riguarda True Blood.
Infine ho dedicato l’ultimo capitolo a American Horror Story, in quanto i titoli di testa
sono stati realizzati da colui che molti ritengono essere l’erede diretto di Saul Bass,
ovvero Kyle Cooper. Sarebbe stata una mancanza, redigere una tesi sul title design
senza parlare di questa figura di svolta nell’ambito. Cercherò di dimostrare come,
nonostante si costruisca un ponte tra Cooper e Bass, l’allievo non abbia ancora
superato il maestro: se l’opera di Bass viene riconosciuta per una ricorrenza di processo creativo, le title sequences di Cooper sono caratterizzate da un medesimo approccio creativo ed estetico.
Per quanto riguarda la parte su Saul Bass ho basato le mie ricerche principalmente
sul volume Saul Bass: A Life in Film and Design, scritto da Pat Kirkham,
professoressa di Storia del Design, Arti Decorative e Cultura al Bard Graduate
College Center for Studies in the Decorative Arts, Design & Culture di New York e da
quasi vent’anni specialista dell’opera di Saul Bass, e Jennifer Bass, figlia del nostro e
designer essa stessa. Il libro in questione è il primo interamente dedicato alla vita e
alle opere di Bass. Dove non è indicato altrimenti, le informazioni sono tratte e
analizzate dal testo sopracitato. Ho inoltre utilizzato, basandomi sulla bibliografia del
suddetto volume, interviste e articoli di rivista riguardanti Saul Bass e la sua attività.
Molto è stato scritto, soprattutto da studiosi anglofoni, sull’attività del nostro, di
conseguenza il lavoro di ricerca non è stato complesso.
Per quanto riguarda invece il title design contemporaneo ho riscontrato grosse
lacune, soprattutto in termini di monografie: ad esclusione del catalogo
dell’esposizione Graphic Design: Now In Production, in cui un’intera sezione è stata
dedicata al title design, non mi è stato possibile reperire alcun materiale cartaceo. La
maggior parte delle informazioni deriva invece dalla rete, in particolare dal sito Art Of
The Title, che si occupa di analizzare sequenze di apertura, di intervistarne i creatori,
fornire una panoramica accessibile sullo stato di questo ambito creativo. Allo staff
del medesimo sito è stata infatti commissionata la curatela della sezione title design
della suddetta esposizione.
La mia trattazione cerca di gettare una luce su questo ambito, che possiede
un’importanza centrale nella fruizione dell’opera seriale, spesso non ben inquadrata,
soprattutto dallo spettatore medio, che tendenzialmente ignora la complessità
concettuale e la cura estetica insite in produzioni di questo tipo.
L’applicazione del title design alla serialità televisiva inoltre si configura come
conferma dell’estrema attualità della materia: il genere d’intrattenimento di maggior
successo al giorno d’oggi è un prodotto complesso, di qualità, che impegna il
telespettatore su molteplici fronti, lo coinvolge e lo lega a sé, grazie anche a apparati
esterni che interagiscono con esso.
Ho cercato di creare un ponte tra il pioniere Saul Bass e i title designer
contemporanei, mostrando come gli insegnamenti del maestro ormai siano stati
assorbiti e declinati nei modi più consoni all’età contemporanea.