Ho iniziato a lavorare a questa tesi mentre mi trovavo in Giappone, durante l’ultimo anno di
laurea magistrale. Ero nel paese del Sol levante grazie a uno scambio universitario, durato
complessivamente nove bellissimi e indimenticabili mesi, in cui ho avuto modo di conoscere tante
persone splendide, di migliorare la lingua e di maturare personalmente. In quel periodo, mi stavo
preparando a sostenere gli ultimi esami universitari della mia vita, con tutta l’agitazione che
derivava dal fatto che dovevo darli in lingua. Fu in quei mesi, mentre giravo in bicicletta per il
gigantesco campus universitario, che decisi che era ora di affrontare una delle mie grandi paure:
stabilire quale dovesse essere il tema della mia tesi di laurea.
A venirmi in aiuto fu innanzitutto il professore Toshio Miyake, ricercatore all’Università Ca’
Foscari, la persona che poi sarebbe divenuta il mio relatore. L’idea che avevo inizialmente, e che mi
spinse a contattarlo, era quella di analizzare qualche fenomeno sociologico tipico della gioventù
giapponese: otaku, hikikomori, enjo k?sai, eccetera. Questi temi mi affascinavano per la loro
peculiarità e trovavo che sarebbe stato interessante studiarne la storia e le cause. Ma dovevo cercare
di chiarirmi le idee a riguardo, perciò contattai il professor Miyake e, su suo consiglio, acquistai un
libro che trattava di questi argomenti. Con mia grande sorpresa e delusione, però, l’autore del
suddetto testo negava che quei fenomeni, che tanto mi interessavano, esistessero, bollandoli come
mere creazioni dei media giapponesi. Mi ritrovai, d’un tratto, senza più spunti per la mia tesi.
Decisi allora di tornare su un terreno più sicuro, il mio grande amore: i manga, i fumetti
giapponesi che mi avevano accompagnato fin dall’infanzia e che mi avevano spinto a studiare la
lingua del Paese del Sol levante. Ma non sapevo minimamente quali dei loro innumerevoli e
variegati aspetti approfondire. Era come avere in mano un dado da trenta facce e dover pensare a
quale dedicarsi tra le tante. Anche in quel caso, mi venne in aiuto una figura accademica. Si tratta di
Jaqueline Berndt, nota studiosa tedesca che si occupa di fumetti giapponesi e che insegna alla
Meika University di Kyoto. Su invito della professoressa Berndt, nel febbraio 2013, partecipai a un
simposio tenutosi al Museo del manga di Kyoto, dove vari esperti di manga studies esponevano i
risultati delle proprie ricerche. Alla fine dell’incontro, la professoressa Berndt mi consegnò
personalmente tre libri, editi dalla Meika University: si trattava di tre raccolte di saggi accademici
tutti concernenti i manga. Quei testi divennero i miei più preziosi compagni di studio dei mesi
successivi.
Mi ritrovai, insomma, improvvisamente in possesso di tre libri, ciascuno contenente svariati
saggi che analizzavano i manga sotto i più svariati punti di vista. Avevo così accesso a un’enorme quantità di dati, a una panoramica delle più recenti ricerche nel campo e, allo stesso tempo, essendo
tutti i saggi di autori differenti e su temi diversi, alla possibilità di allargare i miei orizzonti e capire
quale aspetto dei manga mi catturasse maggiormente. Da quel momento, cominciai a leggere un
saggio al giorno. Così, mentre studiavo per gli esami, mi spostavo tra Tokyo e la città dove vivevo,
uscivo con i miei compagni giapponesi e non, riuscivo sempre a trovare un momento da dedicare a
quei libri e ai loro saggi: li sottolineavo, prendevo appunti e riflettevo su ciascun singolo trattato,
per capire cosa volevo che diventasse l’oggetto di studio della mia tesi.
Con il passare delle settimane, le mie idee iniziarono a farsi sempre più chiare. Nei libri che
avevo ricevuto, infatti, avevo trovato alcune frasi che illustravano in maniera magistrale quali
fossero i punti di forza dei manga a livello grafico, constatazioni da cui rimasi estremamente colpito.
Si trattava infatti di proposizioni che spiegavano cosa stesse dietro al grande fascino posseduto dai
manga. Fu come se qualcuno mi avesse aperto gli occhi. Mi stupii, perché io, che coi manga ci ero
cresciuto e che tanto li avevo amati, non avevo mai colto certe sfumature, certe convenzioni e certe
tecniche comunemente sfruttate all’interno del fumetto giapponese. Erano proprio quelle
caratteristiche ad aver contribuito a creare il fascino che mi aveva sempre colpito. Incuriosito,
cominciai a divorare tutti i saggi, alla ricerca di sempre più informazioni a riguardo delle tecniche
disegnative e narrative dei manga. Purtroppo, non trovai nessun brano che fosse dedicato a questo
argomento nello specifico e dovetti, perciò, accontentarmi di qualche accenno qua e là. Ci misi
qualche giorno a capire che avevo trovato l’argomento della mia tesi: quello che volevo fare era
raccogliere tutte i tratti distintivi (grafici e narrativi) che caratterizzano il fumetto giapponese, per
poi illustrarli in maniera sistematica e chiara.
Una volta tornato in Italia, sotto la guida del paziente e zelante professor Miyake, diventato
mio relatore, e di un ilare e disponibilissimo correlatore, Cristian Posocco, caporedattore editoriale
della casa editrice Flashbook e studioso teorico del manga, ho scritto la tesi che ora tenete tra le
mani e che spero possa risvegliare il vostro interesse.
Il corpo della tesi è diviso in tre parti. Vi è una prima introduzione, nella quale presento il
tipo di lavoro che ho svolto e una breve storia delle ricerche sul campo. Segue poi un’ordinata
presentazione delle caratteristiche, grafiche e narrative, dei manga, per come sono stati studiati
finora. L’ultima parte, infine, consiste nell’analisi di varie opere, alcune recenti, altre meno, per
confermare quanto detto nella parte precedente e ampliare il campo delle conoscenze a riguardo. A
conclusione della tesi, il lettore troverà un’intervista a Maeda Toshio, celeberrimo autore
giapponese di fumetti, conosciuto in tutto il mondo (specialmente per le sue opere di genere erotico) e a Ichiguchi Keiko, mangaka che vive in Italia, a cui ho posto alcune domande sulla differenza tra i
fumetti europei e quelli giapponesi.
Giunti qui, non mi resta altro che augurarvi buona lettura!