Il Potere e la Morte sono due tematiche apparentemente distinte che in ogni tempo
hanno suscitato attenzione e interesse insinuandosi spesso in modo prepotente nelle riflessioni
letterarie o filosofiche delle grandi figure del pensiero umano, forse anche perché il desiderio
del primo si infrange contro la consapevolezza della seconda e la paura ch’essa infonde. La
morte è un elemento limitante per l’uomo, alla cui veridicità egli si trova a reagire attraverso
l’aspirazione ad un potere capace di colmare la vertigine della sua finitezza.
Questi due temi, all’interno della tessitura formale che il mito offre loro, sembrano
assumere dei risvolti di senso e delle qualificazioni compositive che consentono di cogliere
sfumature significative, tanto sul piano poetico che su quello ideologico, capaci di delineare
non solo i differenti punti di vista rispetto alla morte e alla sovranità, ma anche nuovi nuclei
tematici adiacenti che da quelli scaturiscono, aggiungendo sfaccettature molteplici sul
versante della struttura mitopoietica e delle scelte stilistico-formali.
L’attenzione del presenta studio verrà focalizzata su tre autori nelle cui rielaborazioni
mitologiche la morte e il potere si intersecano secondo esiti diversi evidenziando il ruolo
essenziale di un terzo tema connesso loro secondo rapporti di tipo causale: la contaminazione.
Il quesito che muove l’indagine non riguarda la similitudine delle soluzioni formali e
letterarie operate, bensì le differenze che si instaurano tra i generi letterari e i contesti storici
cui le opere in esame rimandano, in linea con le diverse concezioni del mondo che sorreggono
l’ispirazione compositiva.
Dunque, una triade di temi strutturali (Potere, Contaminazione e Morte) si
accompagna, in questo contesto, ad una triade di autori, lontani fra di loro, eppure uniti dal
filo rosso di quelle stesse tematiche: l’anello che tiene, fuor di metafora, coincide con
l’imprescindibile tassello mitologico del Potere e dei suoi corollari: la Contaminazione e
l’ultimo sentiero ch’essa porta ad imboccare, la Morte. La presenza di questi argomenti
letterari unisce gli autori indicati, mentre la modalità di rappresentazione degli stessi
determina non solo delle differenze - per altro inevitabili, considerato l’arco cronologico di
riferimento - ma anche dei percorsi letterari indirizzati a comunicare una visione personale e
ragionata di tematiche di senso che il mito assorbe e custodisce, e che la sua rielaborazione
epica, tragica o romanzesca risemantizza, facendo tesoro dell’esperienza che la storia e la
tradizione forniscono.
Per raggiungere il cuore del pensiero poetico che quelle operazioni compositive
adombrano, risulta utile individuare le diverse articolazione che il triplice tema qui affrontato
comporta. Esse saranno discusse, nei loro aspetti e in base alle funzioni segniche che
svolgono, all’interno dei singoli capitoli, le cui tematiche si configurano quali diramazioni del
tema di fondo, esito della diversa combinazione della Morte col Potere e della
Contaminazione come nodo frapposto.
L’intreccio di questi tre nuclei narrativi genera, nei suoi sviluppi mitologici, corollari
contenutistici ricorrenti: quando il mito, trattando del Potere, della Contaminazione e della
Morte, vi cala i suoi personaggi, l’autore che ne ricompone la fisionomia si trova ad affrontare
dei temi loro consequenziali: l’inganno e il mascheramento, l’esilio e il ritorno, la parentela e
la sua violazione, la corruzione e il risanamento. Questi ultimi sono parte integrante delle
rielaborazioni in esame, e la connotazione che l’autore assegna loro si offre come spia della
ideologia che li accompagna, caricandoli di significati spesso opposti, eppure complementari.
Il Potere contamina, infatti, ma anche purifica e si costituisce come baluardo salvifico e
rinnovatore; la Morte attanaglia e deturpa, eppure è sentita anche come un dono, una quies impagabile, una dimensione sacra nella quale immettersi per recuperare, attraverso la
rinascita, consapevolezza ed elezione.
L’ordito dei temi formali indagati, inoltre, comunica anche una precisa visione delle
funzioni, dei compiti e degli oneri della regalità, la quale si tuffa compiacente nella
contaminazione dell’Ade emulandone la sfrenatezza, oppure se ne guarda con attenzione,
salvaguardando la pietas e la purezza che garantiscono il favore degli dèi e la salus della
comunità.
Un’attenzione maggiore, in questa sede, va riservata alla capacità di riscrittura del
mito che mostra J. R. R. Tolkien nelle sue opere maggiori, le quali verranno accostate in
modo ragionato all’epica di Virgilio e alla drammaturgia di Seneca. Per agevolare la
riflessione sull’opera compositiva di questo autore e sull’operazione letteraria e mitopoietica
da lui avanzata è il caso di soffermarci sulle linee generali del suo corpus, al fine di fornire un
quadro conciso che possa descrivere, sebbene in modo imperfetto, la portata letteraria della
sua sub-creazione.
Se in virtù della recente trasposizione cinematografica il plot de Il Signore degli Anelli
risulta più o meno noto nei suoi lineamenti generali, la storia compositiva e quella più
strettamente narrativa de Il Silmarillion, l’altra opera di cui si tratterà in questa indagine, non
riscontra la stessa popolarità, malgrado sia stato concepito dall’autore come il cuore
mitologico originario della saga più celebre.
Il Silmarillion è un’opera aperta cui Tolkien lavorò per rimaneggiamenti successivi
con interruzioni più o meno ampie dal 1917 (anno al quale risalgono i primi appunti sulle
vicende leggendarie narrate nel libro) fino alla morte, sopravvenuta nel 1973. Pertanto si può
a buon diritto definire il Silmarillion come l’Opera della vita del professore, che tuttavia
venne pubblicata solo postuma, nel 1977 a cura del figlio Christopher Tolkien. La
pubblicazione successiva alla morte del suo autore pone determinati problemi riguardanti la
coesione testuale del libro e di alcune sue parti che Tolkien non ebbe il tempo di revisionare,
per cui tentare di recuperare nella selva di nomi e genealogie del Silmarillion una perfetta
coerenza interna risulta una fatica vana e poco utile ai fini dell’analisi qui proposta, volta a
ricercare nelle pieghe di questa composizione mitologica i temi fondanti del suo sostrato e
costitutivi del binomio morte-immortalità, che si configura quale nodo essenziale del racconto
tolkieniano nella sua complessità.
È quindi necessario chiarire sin d’ora quale sia il contenuto de Il Silmarillion e che
cosa si intenderà ogni qual volta si farà uso di questo titolo. A tal proposito ci si avvarrà
dell’aiuto della Prefazione al testo, curata dal già citato Christopher Tolkien, (Il Silmarillion,
p. 7):
Per motivi di ordine editoriale si finisce dunque per intendere col nome di Silmarillion
una più ricca raccolta di scritti di cui il Quenta Silmarillion, “La Storia dei Silmaril”,
costituisce il perno narrativo. Ad esso sono stati agglomerati, in modo però da mantenere la
loro uniformità distintiva, anche altri racconti relativi alla medesima storia leggendaria:
l’Aunulindalë, “La Musica degli Ainur”, in cui si narra della creazione del mondo;
Valaquenta o “Novero dei Valar”, non dissimile da un omogeneo catalogo di divinità, in cui
vengono descritte opere e caratteristiche dei “Potenti”; il Quenta Silmarillion vero e proprio;
l’ Akallabêth, “La Caduta di Númenor” e Gli Anelli di Potere e la Terza Età, in cui si
ritrovano in sintesi la storia della Guerra dell’Anello e alcuni dei suoi risvolti taciuti ne Il
Signore degli Anelli.
L’oggetto della narrazione de Il Silmarillion, inteso nella totalità degli scritti in esso
confluiti, non è un mero antefatto delle vicende narrate in seguito nel romanzo di Tolkien per
antonomasia, ma un’opera che dà espressione all’esigenza mitopoietica dell’autore; infatti,
pur costituendo un preludio mitico a Il Signore degli Anelli, non esiste un rapporto
subordinante fra le due composizioni, entrambe in possesso di una dignità letteraria propria. Il
“romanzo mitologico incompleto” che Il Silmarillion rappresenta fornisce un’importante e
profonda chiave d’accesso al pensiero letterario dell’autore, in grado di gettare luce sui temi
formali e contenutistici del suo corpus e di condurre il lettore nel cuore della costruzione
compositiva di una moderna mitologia letteraria.
È soprattutto a partire da questa raccolta, e dagli sviluppi “epici” del romanzo
maggiore, che emerge il recupero tolkieniano dei generi dell’antichità, in primo luogo
dell’epos.
L’opera del nostro autore è lontana dall’allegoria che Tolkien non amava, ma
pronta a cogliere il senso di un’operazione letteraria cosciente della grande eredità dei poemi
epici e della tradizione mitologica classica, ma soprattutto nordica, che fa del suo corpus
un’impareggiabile costruzione mitopoietica.
Due dei temi di fondo che sostengono il Silmarillion e Il Signore degli Anelli, e che
riconducono al triplice nucleo oggetto del presente studio, sono la morte, riletta e innovata
attraverso l’accostamento oppositivo con l’immortalità,6 e la cerca epica, propria dei grandi
cicli arturiani, ma di certo non assente nei poemi classici - dall’Odissea all’Eneide - la quale
si delinea come generalmente congiunta alla dimensione del potere.
Questi principali filoni narrativi incontrano alcuni moduli letterari che fanno della
riflessione intorno alla contaminazione e al regno il fulcro su cui costruire la vicenda, per
incastonare in essa i grandi motivi mitologici della regalità salvifica e di quella rovinosa,
dell’esilio e del ritorno del re rinnovatore, della catabasi e della vittoria sulla morte. Scopo
della presente ricerca è individuare tali moduli formali e lo sfondo ideologico sul quale si
proiettano, indagando il senso delle differenti scelte compositive, le quali, all’interno di
configurazioni narrative che vertono su temi mitici correlati, appaiono funzionali ad
esprimere, secondo il linguaggio dei singoli autori, una riflessione profonda sulla natura del
potere e sulle sue relazioni con la contaminazione e la morte