Scrivere l’ambientazione per un gioco di ruolo non è un compito facile: presenta difficoltà nuove e maggiori rispetto allo scrivere un romanzo o un racconto, e questo perché è fondamentalmente diverso l’approccio con cui i due tipi di opere vengono lette ed utilizzate. Infatti, anche se in entrambi i casi, leggendo, si diventa partecipi della storia, nel romanzo ci si lascia trasportare là dove l’autore ci voleva condurre con la sua narrazione, mentre nel gioco di ruolo siamo noi a condurre la narrazione e a farla procedere nella direzione da noi prescelta. Risulta subito evidente che, non essendo più le vicende dei personaggi vincolate a seguire un percorso determinato a priori, l’universo di gioco creato non deve presentare lacune, e deve essere definito con lo stesso livello di dettaglio nella sua interezza. Non è conoscibile a priori infatti in quale parte di questo universo si svolgeranno le storie dei personaggi interpretati, quali aspetti della sua struttura sociale, geografia, filosofia, politica, religione, ecologia, letteratura, metafisica e così via, saranno chiamati in causa .
Ecco perché solitamente i volumi di ambientazione scritti per i giochi di ruolo, anche quelli che possiedono le ambientazioni più semplici, sono opere mastodontiche, che vengono pubblicate spesso in più volumi e superano per lunghezza anche le saghe fantastiche che le hanno ispirate. Per fare un esempio rappresentativo basta considerare quanto è stato scritto sulla celebre Terra di Mezzo nelle opere di J. R. R. Tolkien, che pure sono tra le più ricche e dettagliate del genere, e confrontarlo con le molto più numerose opere scritte per l’ambientazione di GiRSA (Gioco di Ruolo del Signore degli Anelli), anche se il livello letterario non è ovviamente paragonabile. Diverso è anche lo stile narrativo, non più in forma di romanzo, ma piuttosto simile ad un manuale di geopolitica, o perché no ad una guida turistica, dato che in fondo i personaggi sono degli esploratori del loro universo immaginario.
Quella di avere un universo di gioco definito in ogni dettaglio è una necessità, che se non viene rispettata può generare una forte limitazione alla libertà d’azione dei personaggi giocati, e di conseguenza al divertimento di chi li interpreta. Sostanzialmente giocare di ruolo è una questione di azioni e reazioni, di personaggi che agiscono conformemente all’ambiente in cui si trovano, e di ambienti che reagiscono e cambiano conformemente alle azioni intraprese dai personaggi. Questo meccanismo funziona però solo finché i giocatori hanno la possibilità di conoscere l’universo in cui si muovono i loro personaggi: se dovessero trovarsi di fronte ad un aspetto dell’ambientazione che non sia stato definito avrebbero difficoltà nell’intraprendere qualsiasi azione, non potendo né interagire con quanto non possono conoscere né semplicemente inventare di propria iniziativa.
Mentre ciò che è stato definito con esattezza può rappresentare al più un ostacolo alle azioni dei personaggi, quello che non è stato definito è invece un sicuro ostacolo al divertimento dei giocatori, e questo è evidente se consideriamo che la finalità del gioco di ruolo è quella di costruire delle storie insieme agli altri. In questi casi, mancando la struttura di base su cui imbastire la narrazione, occorre innanzi tutto riuscire a trovare un accordo comune, dato che un’ambientazione è valida solo finché resta condivisa da tutti i giocatori. Occorre qui fare una precisazione su cosa debba essere la coerenza di gioco. Il GdR per sua natura porta i giocatori a fare delle invenzioni, che vengono solitamente utilizzate per narrare le gesta di un personaggio all’interno di un universo predefinito (ma non immutabile). Quando però l’invenzione è finalizzata a descrivere una parte condivisa di questo universo, che non riguardi quindi il singolo personaggio, c’è il forte rischio di dare origine ad un universo inconsistente o contraddittorio. Primo perché l’invenzione deve essere coerente con tutto il resto dell’universo di gioco, cosa per nulla facile da fare per un giocatore che normalmente ha una visione parziale e soggettiva dell’ambientazione, filtrata dalle esperienze vissute dal suo o dai suoi personaggi. Inoltre bisogna garantire che l’innovazione sull’ambientazione sia condivisa e disponibile a tutti i giocatori attuali e futuri. Per questo è necessario in queste circostanze l’intervento diretto di un master di gioco, che possa garantire tutte queste cose.
Ritornando al discorso iniziale quindi, ogni qual volta sia necessario valutare un aspetto dell’ambientazione che non sia stato definito a priori, e tralasciando quelle anomalie di gioco in cui i giocatori ritengono di poter gestire in autonomia l’ambientazione, si genera una richiesta da parte dei giocatori nei confronti del master, ed una necessità del master di valutare molteplici fattori per poter intervenire correttamente. In pratica si può dire che lo sforzo creativo del master è inversamente proporzionale alla bontà dell’ambientazione scritta; al limite si può teorizzare che un’ipotetica ambientazione perfetta e completa in ogni sua parte, inserita in un supporto di gioco abbastanza evoluto da permettere ai giocatori di potervi accedere agevolmente ed autonomamente, non richiederebbe più nemmeno la presenza di un master per essere giocata.
Appurata questa necessità di completezza bisogna però dire che, paradossalmente, un’ambientazione che comprendesse ogni possibile dettaglio sarebbe inaccessibile, poiché assumerebbe le proporzioni di una vera e propria enciclopedia. In termini più ridotti, è già abbastanza facile che i giocatori si scoraggino di fronte ad un manuale di gioco molto lungo.
D’altro canto esiste una piccola scappatoia per chi crea un proprio universo per un gioco di ruolo, applicabile nel caso in cui questi sia anche il master di gioco. Benché sia vero che i personaggi hanno potenzialmente la libertà di far procedere la storia in qualunque direzione e di arrivare a conoscere ogni possibile dettaglio, è anche vero che questo deve necessariamente avvenire per gradi. Prevedendo quale sarà la parte di ambientazione a cui i giocatori faranno interessare i propri personaggi, o reagendo prontamente alle scelte fatti da questi, il creatore dell’ambientazione può permettersi di scriverla ed arricchirla mentre le vicende dei personaggi procedono e si sviluppano. Occorre come detto una buona capacità di anticipare i desideri dei giocatori, e saper valutare quali aspetti sono più vicini alle trame che probabilmente si svilupperanno, e che quindi richiedono attenzione immediata nella definizione dei dettagli, e quali invece sono distanti dalle storie narrate e possono essere descritti anche solo in modo vago ed approssimativo finché non si presenterà un reale bisogno di utilizzarli in gioco. E’ del resto perfettamente plausibile che le informazioni che giungono ai personaggi da lontano siano vaghe e magari inesatte.
Da qui si recupera e reinterpreta completamente la figura del master-autore, non più solo arbitro e narratore, ma costruttore di un universo in divenire, chiudendo un cerchio che inizia con i giocatori che costruiscono la storia dei personaggi sulla base delle invenzioni del master, e termina con il master che costruisce e fa evolvere la realtà del mondo immaginato sulla base delle invenzioni dei giocatori. In fondo si tratta sempre di narrare una storia ambientata in un universo fantastico, solo con regole molto più complesse: osservata da un punto di vista molto particolare la narrativa è in fondo una degenerazione del giocare di ruolo, in cui esiste un solo autore/master e nessun giocatore attivo, ma solo lettori/spettatori. Non è raro tra l’altro che universi creati per il gioco abbiano poi ispirato racconti e saghe letterarie di successo e di buon livello artistico (il ciclo di Dragonlance o quello di Drizzt, tanto per citare due dei “classici”), il che dimostra che le arti dello scrivere giocando del giocare scrivendo non solo sono affini, ma tendono a rincorrersi ed alimentarsi a vicenda.
Anche la sfera di competenza dei giocatori, in questa ipotetica ambientazione perfetta, subirebbe un certo stravolgimento. Normalmente infatti il limite di avere un unico punto di accesso al mondo di gioco condiviso da più giocatori, il master appunto, condiziona il tipo di relazione che può instaurarsi tra i personaggi interpretati. Sarebbe estremamente complesso, per esempio, gestire personaggi che vivano in città diverse, o che siano costantemente in lotta tra loro, i problemi che sorgerebbero dalla contemporaneità delle azioni o dalla condivisibilità delle informazioni diventerebbero insormontabili. Per questo motivo tradizionalmente i giocatori che sono inseriti nello stesso gruppo di gioco, muovono personaggi che sono per lo più collaborativi tra loro e che agiscono in gruppo. Supponendo invece di disporre di un’ambientazione sufficientemente completa, e di un supporto di gioco che renda facilmente accessibili le informazioni, tali per cui sarebbe superflua anche la presenza del master, allora i personaggi potrebbero virtualmente ricoprire qualunque ruolo in qualunque punto dell’ambientazione. Il concetto di gruppo di gioco ne risulterebbe allargato, comprendendo idealmente tutti i giocatori che utilizzano quell’ambientazione, indipendentemente dal fatto che questi giochino sempre insieme, o dal tipo di relazione che vi è tra i loro personaggi. Ovvero, tutti i ruoli possibili sarebbero accessibili ai giocatori, dall’imperatore all’ultimo mendicante.
Naturalmente si tratta di una situazione utopica, perché un’ambientazione, per essere veramente completa, dovrebbe definire anche tutti i personaggi che la popolano, ed ogni personaggio definito dovrebbe poi essere interpretato da un giocatore. Nel caso si voglia perseguire questa strada è però ancora possibile adottare certi compromessi, ammettendo per esempio che i ruoli che necessariamente devono essere ricoperti possano ridursi ai soli istituzionalizzati in quell’ambientazione, come giudici, capi di corporazioni, leader dei culti, comandanti dell’esercito e via dicendo. La contropartita è ancora una volta a carico del master, dato che dovrà essercene sempre uno pronto ad interpretare uno qualunque di questi ruoli ogni qual volta venga lasciato vacante dai giocatori.
Riagganciando ancora una volta il tema iniziale, ovvero quali siano i punti chiave per poter scrivere un’ambientazione per un gioco di ruolo, non deve assolutamente essere sottovalutato l’aspetto della riscrittura e sviluppo di quelle parti sulle quali vanno ad agire i personaggi mossi dai giocatori. Se per quel che riguarda il passato è, come già osservato, assolutamente necessario disporre di un mondo di gioco con una struttura rigida e ben definita, per il futuro occorre invece che sia aperta ad ogni possibile sviluppo. La libertà d’azione dei personaggi infatti si misura dalla quantità di elementi dell’ambientazione con cui i personaggi possono interagire, il che comprende anche la possibilità di modificarli. Un mondo statico, che non muta mai, finirebbe in breve per essere frustrante per i giocatori, vanificando di fatto le azioni dei personaggi qualunque scelta questi possano fare; ai giocatori verrebbe negata la partecipazione come parte creativa allo sviluppo della storia, minando così uno dei fondamenti del giocare di ruolo.
Concludendo, per poter essere gestibile e risultare divertente, un’ambientazione che descriva un universo di gioco deve essere concepita come un racconto aperto, al quale però devono partecipare tre gruppi di persone con approcci diversi: gli autori originari, che ne definiscono le premesse immutabili, i giocatori, che influiscono indirettamente suggerendo ai master come modificare la situazione contingente, e di conseguenza i master/narratori, che raccolti tutti gli spunti ne sviluppano le possibili evoluzioni future.