Si è sempre pensato che una civiltà si caratterizzi per i prodotti che da essa provengono. I prodotti manufatti sono stati sempre considerati documenti essenziali di una civiltà. Sempre più, comunque, la storiografia ha ampliato il dominio di ciò che definisce una civiltà: includendo ad esempio manufatti prodotti non come portatori di un valore estetico, ma per essere adoperati nella vita di tutti i giorni. Tuttavia una civiltà è fatta non solo di prodotti ma anche di azioni che costituiscono movimenti di progresso o di regressione, avanzamento o ripiegamento delle sue varie sfere: e di questo la storiografia si è occupata da sempre. Quindi possiamo dire che la storia di una civiltà si può per grandi linee definire come storia di ciò che essa ha prodotto: oggetti ed azioni.
In questa prospettiva storiografica si comprende allora come il gioco abbia avuto grosse difficoltà ad inserirsi.
Poiché il gioco non produce nulla se non se stesso.
Si può tentare di fare una storia dei giochi, ma con difficoltà perché spesso i giochi nascono all'interno della cultura popolare, viaggiano per imprevedibili canali, sono tramandati per via orale e blandamente codificati. Abbiamo delle ottime ricostruzioni storiche di vari giochi particolari o di famiglie di giochi. Tuttavia resta un terreno ancora poco esplorato, almeno per quanto riguarda le società occidentali, quello del valore e della funzione assegnati al gioco in un dato momento storico.
Eppure la bibliografia sul tema del gioco è vastissima poiché esso ha interessato e coinvolto quasi tutte le discipline umanistiche e, in epoca contemporanea, anche le scienze esatte.
Io propendo per il cominciare da un’analisi etimologica, il verbo “ludo” latino offre, infatti, spunti interessanti e credo utili per una riflessione stimolante e vicina al nostro sentire.
Ludo: + giocare, scherzare, poetare, fare la parte di (= recitare); - beffare, schernire, ingannare.
Mi sembrano intriganti i valori assegnati a tale forma verbale e credo che con estrema facilità si possa individuare una valenza positiva e creativa dell’uso verbale (le forme in carattere normale) e una negativa (le forme in corsivo).
Altrettanto semplice mi sembra sia poter cogliere una relazione stretta tra la forma latina del verbo “ludere” (giocare) e quella italiana “illudere” (prendersi gioco).
Giocare è recitare, è evadere dal reale per trasferirsi in una dimensione diversa e altra, in un ambito immaginario i cui elementi sono fatalmente destinati a rivelarsi in contrasto con la realtà.
E’ necessaria e naturale evasione che garantisce all’uomo il riposo dal lavoro e il piacere che non si può godere mentre altre attività “comandate” lo impegnano ma solo quando egli si concede una pausa.
Calandoci nella storia possiamo osservare concretamente questa realtà: l'epoca in cui, nel mondo occidentale, appare pervasiva la presenza del gioco è sicuramente quell'epoca che chiamiamo Rinascimento.
In essa molti aspetti della vita socializzata sono organizzati in forme simili a quelle del gioco, presentano delle regole strette ed hanno come fine il diletto. Si sono adoperati per descrivere la vita del Rinascimento alcune metafore, come ad esempio vita teatralizzata o vita come opera d'arte, che potrebbero tradursi in vita in forma di gioco. Segnali che evidenziano l'interesse degli uomini di quest'epoca verso le attività ludiche possono essere i diversi trattati sui giochi, sia quelli da tavolo come ad esempio gli scacchi e le carte, sia i giochi sportivi.
Questi trattati rappresentano una vasta letteratura che è stata studiata dagli appassionati di giochi. Nello studio di questi trattati restiamo comunque nell'ambito delle regole, cioè all'interno della struttura del gioco giocabile, mentre c'interessa maggiormente studiare il gioco giocato. Ci sono state tramandate in questo senso diverse testimonianze soprattutto per quanto riguarda le classi dominanti. Ricca è infatti la documentazione che abbiamo sulla vita sociale soprattutto di queste classi, vita sociale che appare strutturata attorno alla pratica di diversi giochi che appartengono alla categoria che possiamo per ora definire giochi di società.
Se consideriamo il Rinascimento come l'apice della civiltà occidentale bisogna concludere che un massimo di civiltà significa un massimo di presenza del gioco in essa. Dove si pratica maggiormente il gioco lì si ritrova allo stesso tempo il massimo di civiltà. Se inoltre accettiamo il fatto che artisti, scienziati, inventori sono gli adulti cui è socialmente permesso di continuare a giocare, come ha affermato Valerio Valeri, possiamo arguire che nella civiltà rinascimentale, civiltà affollata di artisti scienziati ed inventori, lo spazio assegnato al gioco era molto ampio. Si può essere quindi d'accordo con l'affermazione dello Huizinga per cui tutto l'atteggiamento spirituale del Rinascimento è gioco.
Delle caratteristiche che presenta in generale il gioco, per la prima volta puntualizzate dallo Huizinga, cerchiamo di vederne alcune che possono essere utili per lo studio dell'epoca rinascimentale.
Lo spazio del gioco è, come accennato prima, uno spazio che si oppone alla prestazione del lavoro. La società che dedica tanto tempo al gioco ha trovato il modo di liberarsi totalmente o parzialmente dal dovere della produzione di beni. Inoltre essa considera il lavoro come disvalore o come valore di secondaria importanza. Il gioco infatti è legato alla nozione di riposo e di ozio contro il tempo dell'occupazione e del lavoro. Questo è un contrasto netto presente nella società occidentale e a seconda delle epoche e delle ideologie ha trovato soluzioni diverse. Si può infatti passare da una totale sopravvalutazione del tempo del gioco e svalutazione di quello del lavoro, o all'opposto demonizzazione del divertimento a favore di una società dedita interamente alle attività lavorative. Le soluzioni intermedie sono tante e vanno da quella cristiana del settimo giorno dedicato al riposo a quella delle società contemporanee in cui si lavora per procurarsi il divertimento, che ha un suo prezzo.
Il gioco allora interessa l’uomo nel suo essere intrinsecamente necessitante di spazi propri, svincolati da regole e norme o imposizioni; oltre schemi e orari da rispettare seppure all’interno di linee direttive necessarie a garantire ordine e organicità.
“L’uomo gioca solo quando è uomo nel pieno significato della parola ed è completamente uomo solo quando gioca.” (Shiller)
E tuttavia tale attività ludica può cadere nell’errore di divenire attività “illusoria” e “bellica” : quando diviene un “fare finta”, appunto.
Nella sua forma naturale tale attività di finzione rispetta la natura stessa del gioco; è quando si spinge oltre e diviene attività “bellica” ossia una serie di mosse per ingannare l’avversario, che perde il suo valore.
Il gioco simbolico, che fa il suo esordio attorno ai 12/15 mesi di vita e si sviluppa nell'arco di tutta la prima infanzia, è il comportamento ludico infantile caratterizzato da finzione; il gioco di finzione è esperienza culturale e di crescita autentica e imprescindibile anche per l’adulto e in questo campo rientrano le esperienze recenti e attuali di fortuna e successo dei GDR.
In questa categoria di giochi possiamo annoverare giochi di impostazione costruttivistico/costruzionista (lego, meccano, puzzles), giochi tradizionali di simulazione ed emulazione del mondo degli adulti (far finta di..., role play, ...), oggetti transizionali, bambole, burattini,...
Vygotskij sottolinea l'importanza del gioco, soprattutto in età prescolastica, in quanto offrirebbe al bambino la maggior opportunità di compiere esperienze ricche e varie e il gioco di ruolo offre all’adulto le medesime possibilità.
Secondo questo autore attraverso la finzione ludica il fanciullo, e noi diremo anche l’adulto, allarga il proprio campo di azione e di conoscenza, esprimendo principalmente il proprio bisogno di conoscere e di adattarsi al mondo.
L'attività creativa, l'inventività, deriverebbero dall'esigenza di intervenire in modo costruttivo e attivo sulla realtà per il gusto di vivere situazioni reali e allargare le proprie esperienze.
Il gioco è un'attività basilare per lo sviluppo intellettivo e, nella prima infanzia, la più importante ma manine tale valenza lungo tutto l’arco della vita.
Esso, infatti, è il mezzo più efficiente per sviluppare il pensiero astratto: il bambino a questa età si crea delle situazioni immaginarie per superare i limiti delle sue possibilità di azione concreta e reale e nell’adulto porta a ritrovarne coscienza e consapevolezza.
In tal modo si considera il gioco intanto "un modo per minimizzare le conseguenze delle azioni e quindi apprendere in una situazione meno rischiosa"; inoltre gli appare come "una buona occasione per tentare nuove combinazioni comportamentali che non potrebbero essere tentate sotto pressione funzionale".
In questi giochi di finzione, del "fare finta che...", il bambino segue inizialmente un impulso puramente imitativo, che lo aiuta a varcare i limiti dell'infanzia, per proiettarsi nel mondo degli adulti, e impersonarne i ruoli.