“Prendi un pavone e fallo arrosto
come se volesse stare seduto e fosse vivo
e quando è completamente arrostito,
prendilo e fallo raffreddare, poi ricopri con le piume
tutto il suo corpo e servilo come se fosse vivo”
La cucina medioevale di corte era un vero e proprio allestimento artistico. Ma, al di là di queste forme volutamente scenografiche, le caratteristiche più essenziali di essa sono essenzialmente due: la molteplicità dei metodi di cottura e il sapiente uso delle spezie.
L’abilità dei cuochi era indubbia: le ricette non portano quasi mai indicazioni precise sulla quantità e sul peso dei vari ingredienti usati. Essendo dei veri professionisti, essi attingevano dalle ricette più consigli che istruzioni. Nel dettaglio, un cuoco doveva sapere cuocere gli arrosti, i bolliti, le carni alla griglia, i fritti, preparare gli umidi e le torte salate.
La cucina nelle grandi case dei borghesi era di solito a parte della casa, a volte totalmente esclusa da ciò che era l’abitazione in se stessa (non era raro trovare cucine all’esterno di tali abitazioni). Mentre nelle case dei contadini e degli artigiani si cucinava e ci si riscaldava nello stesso posto. Di solito si usava il caminetto mentre il forno , generalmente posseduto da privati (fornaio o signore) , lo metteva a disposizione di un intera cittadina rurale. Nelle case borghesi la preparazione dei cibi richiedeva grande fatiche e ciò ricreava spesso situazioni caotiche: gli sguatteri controllavano il fuoco e la cottura dei cibi, i cuochi svolgevano i loro compiti di cucina (schiumare il brodo, bagnare l`arrosto, pestare nel mortaio, passare le salse al colino o al setaccio, filtrare il brodo per la gelatina). Tutta un`altra storia era la cucina signorile. Li la cosa era molto più organizzata essendo i cuochi e i loro aiutanti numerosi pronti ad eseguire qualsiasi ordine. Vita più facile aveva la casalinga di città: le era possibile procurarsi più facilmente gli ingredienti quando erano finiti. La carne proveniva dai macellai o da allevamenti domestici. Sempre da questi allevamenti si ricavava il latte che veniva utilizzato per ripieni o formaggi da mangiare al naturale. Dai pasticceri si ricavavano dolci secchi e cialde, dai fornai il pane per la "mensa" (si appoggiava il cibo su di esso e quindi serviva da piatto) ed a quello con cui accompagnare i cibi. La cacciagione arricchiva e diversificava i menù. Il pesce fresco, essiccato o salato era considerato un alternativa alla carne nei periodi di magra ed era parte integrante dell’alimentazione. Le verdure di quel tempo erano molto più limitate rispetto a quelle di oggi : vi erano varie erbette dell`orto, insalate, bacche selvatiche, menta selvatica, borragine, portulaca, issopo, senecione, fior di finocchio, cime di cavolo, maggiorana, ceci rossi, fiori di fave, radici di prezzemolo, fiori di sambuco, corniole e altri ancora che entravano in dispensa insieme ad altre piante dell`orto per noi più comuni come bietole, legumi, cavoli, ecc. L`alternanza grasso magro dell`anno liturgico e il trascorrere delle stagioni imponevano un loro ritmo, i prodotti freschi erano spesso integrati da conserve. Alcuni si conservavano mediante salamoia, legumi e zucche essiccati, mentre per la frutta esistevano le confetture (cotte nel miele, nel mosto, nello zucchero) anche se erano diverse dalla nostre; esse erano molto più simili alla mostarda. L’aceto e l’uva acerba , i cui succhi o acini venivano conservati e chiamati "agresto", erano ingredienti aromatici fondamentali. Il latte essendo molto deperibile come merce veniva consumato direttamente sul luogo di produzione, diffidando dai venditori che a volte lo annacquavano. Non esisteva ancora la panna mentre il burro si anche se compariva poco in ambiti culinari. Veniva solitamente venduto più salato che fresco. Ingredienti fondamentali della cucina medievale erano le spezie vendute spesso già mischiate o in polvere. Analizziamo ora in maniera dettagliata i metodi di conservazione del cibo nel medioevo (Innovazioni in questo campo si avranno solo tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo).
Essi sono riassunti in quattro elementi fondamentali:
- GHIACCIO
- ARIA
- SALE
- FUMO
Ai quali corrispondeva una particolare conservazione.
Ovviamente ad ognuno corrispondeva un metodo di conservazione dei cibi:
- RAFFREDDAMENTO/CONGELAMENTO
- ESSICAZIONE
- SALATURA
- AFFUMICAZIONE
Già nel medioevo , soprattutto nel nord Europa e nella zona alpina, esistevano bacini glaciali. La proprietà “conservatrice” del ghiaccio era nota già molto prima del medioevo. La neve veniva accumulata in locali (detti neviere, ghiacciaie, nevaie) spesso in pietra e necessariamente isolati termicamente; ciò per evitare sbalzi di temperatura e eventuale formazione di condensa. Questi locali erano dei depositi di neve ai quali poi vi si attingeva nel momento del bisogno. Sappiamo che il cibo fondamentale di ogni classe sociale del tempo erano i cereali… Sorgeva il problema di come conservarli e che metodo utilizzare per fare ciò. Potevano essere conservati sotto forma di singoli chicchi o macinati già in farina. Se venivano conservati con il primo modo bisognava evitare una germinazione intempestiva dei chicchi e ovviamente la presenza di microrganismi e muffe le quali rendevano il cibo non più commestibile. Per far ciò di solito venivano essiccati al sole e all’aria. Inoltre essi venivano tostati in modo da poter essere utilizzati durante il corso dell’intero anno.
Carni, pesci e selvaggina
La lista delle carni e dei pesci usati nel Medioevo è vastissima. Si spazia dalla carne di maiale al vitello, al cervo, all’oca, al coniglio, al capretto, al daino, al montone. Per i pesci vale la stessa regola della molteplicità della scelta: luccio, storione, salmone, tinca, crostacei (come gambero, aragosta, ostrica), e poi ancora merluzzo, nasello, branzino, fino ad arrivare alle balene, foche e ai trichechi, tutti classificati come pesci.
Non dimentichiamo che nel Medioevo il calendario cristiano prevedeva un’alternanza di giorni in cui era permesso il consumo della carne e del pesce. Molte ricette avevano versioni “per i giorni di magro” e “per i giorni di grasso”.
Anche gli uccelli contribuivano ad aumentare la scelta delle portate per il banchetto: pernice, fagiano, piccione, anatra selvatica, quaglia, beccaccino erano i più amati. Gli uccelli di piccole dimensioni erano usati per farcire le torte salate.
Carni, pesci e selvaggina subivano comunque una lunga cottura , poiché si pensava che così fossero più facilmente digeribili.
Erbe e spezie
L’uso massiccio delle erbe era dettato anche da motivi di salute, infatti con le erbe ci si curava. Oltre a quelle che era possibile coltivare nell’orto, le ricette prevedevano l’impiego di tante spezie costose provenienti dall’Oriente, come la cannella, lo zenzero e la noce moscata. Si riteneva infatti che lo zenzero “scaldasse” lo stomaco, aiutando la digestione e che i chiodi di garofano distendessero i nervi. Sempre secondo gli erboristi medioevali, la noce moscata combatteva il raffreddore ed era indicata per le forme di depressione, mentre il cinnamomo era considerato un tonico importante. Naturalmente la presenza di una spezia costosa era evidente segno di ricchezza e di potere, ma i concetti di salute e ricchezza sono in questo caso strettamente legati.
Il consumo di cavoli e piselli era sconsigliato alle persone con problemi di stomaco. Si proibivano inoltre rape, noci, formaggi stagionati o cibi grassi ai gottosi e agli epilettici. I depressi dovevano evitare le carni fritte, i cibi salati e anche il vino forte. Bene invece il latte di mucca e di mandorla, i rossi d’uovo, le carni bollite e i cibi digeribili.
Frutta e verdura
Con la frutta si iniziava solitamente il pranzo e con la frutta accompagnata da confetti lo si finiva.
Era molto usata anche nelle torte salate e negli arrosti. La mela cotogna, il melograno, l’uva, il dattero, il fico, l’uva sultanina e la pera erano tra le preferite. Il succo d’uva puro era impiegato per pesci o carni in umido.
Tra le verdure più comuni troviamo: lattuga, cavolo, piselli, sedano, rafano, porro, carciofo, lenticchie, rape. Anche noci, nocciole e castagne erano amatissime, ma le mandorle rivestivano un’importanza del tutto particolare, perché erano utilizzate in moltissime ricette, non solo per il loro sapore ma anche per il colore.
Mandorle
Le mandorle erano impiegate nei modi più disparati: tritate, macinate, a pezzetti, alla griglia, bollite. Esse erano inoltre l’ingrediente base per il “Biancomangiare”: una minestra preparata con riso o farina di riso, carne o pesce, più brodo e l’aggiunta delle mandorle che conferivano un gusto amarognolo molto gradito ai palati medioevali. Il latte alle mandorle era usato sia come bevanda che come brodo per minestre e salse. Lo si otteneva aggiungendo al latte le mandorle tritate grossolanamente.
Uova-
Il consumo di uova raggiungeva limiti strabilianti. Le ricette medioevale le adoperavano da sole, nelle salse, con le erbe, per i ripieni e la decorazione finale: la famosa “doratura”. Questa operazione complessa fatta da persone specializzate proprio in quest’arte, consisteva nello spalmare arrosti di carne, selvaggina, pesci o torte salate, con una mistura di tuorli d’uovo, per dare loro un colore giallo acceso.
Miele
Il miele era onnipresente. Lo si adoperava non solo nei dolci al posto dello zucchero, ma anche nel pane, nei piatti di carne e in quelli di frutta. Il miele, infatti, era più facilmente reperibile e meno costoso dello zucchero che era importato, poiché spesso era prodotto nelle arnie domestiche.
Midollo
Il midollo era usato come condimento, per insaporire la carne, la frutta, le uova e anche le torte salate.
Condimenti
Il condimento universalmente usato era il grasso di maiale, ossia il lardo, che era cotto e poi lasciato riposare per conservarlo. Diffuso era anche l’olio, utilizzato soprattutto crudo, per condire. La Chiesa raccomandava di osservare i giorni di magro (mercoledì, venerdì e sabato), perciò l’olio sostituiva il lardo e lo strutto nelle fritture, nei giorni di “penitenza alimentare”. Il burro era appannaggio dei ricchi, e spesso lo si doveva dissalare prima di utilizzarlo.
Zucchero
Nel Medioevo non esistevano differenze così marcate tra dolce e salato; si aggiungeva zucchero alle salse, nei pasticci, nelle zuppe. Il sapore che di gran lunga incarna il gusto dell’epoca era l’agrodolce; si otteneva aggiungendo aceto, agresto (estratto dall’uva prima che giungesse a maturazione) o succo di agrumi.
Lo zucchero era una merce di lusso che si acquistava dallo speziale e, in quanto tale, era pesata con la bilancina.
Sale
Il sale era sicuramente l’elemento più prezioso di tutti, non solo per insaporire i cibi, ma anche per la loro conservazione. La carne macellata di fresco e il pesce erano sempre disponibili, anche nei mesi invernali, grazie al procedimento di salatura cui venivano sottoposti. Anche lo spettro delle carestie sembrava meno pesante grazie a questo prezioso elemento.
Nel Medioevo la quantità di sale impiegata per la conservazione dei cibi era probabilmente superiore a quella destinata al suo uso in cucina. La carne di maiale è sicuramente l’esempio più comune e diffuso, ma nei mercati si trovavano anche in salamoia animali quali oche, aringhe, naselli, merluzzi, trote, salmoni, ostriche, seppie.
Un altro dei molteplici utilizzi del sale era nella confezione del burro e dei formaggi. Lo si impiegava anche in medicina, per le sue proprietà disinfettanti e nelle botteghe dei conciatori perché proteggeva le pelli dalla putrefazione.
Il colore
Il colore se non un alimento era certamente una caratteristica della cucina medievale. Si colorava il cibo artificialmente perché si voleva suscitare stupore e ammirazione, stimolare la curiosità piuttosto che l’appetito. Per ottenere un bel verde si aggiungeva il prezzemolo, la menta o la malva; per il rosso si impiegava il legno di sandalo e per il giallo, oltre che i tuorli d’uovo, anche lo zafferano. Le tonalità blu erano ricavate dal girasole. Il sangue serviva per scurire le salse e talvolta le gelatine, che risultavano di colore marrone.