Si parla un sacco di cinefumetti in questi ultimi anni. Anche troppo, verrebbe da dire. Non passa più di un mese senza l’annuncio di qualche film di menare con protagonisti in maschera. Dopo il successo di Iron Man e del Batman di Nolan, tutti gli studios americani vogliono mettere le mani su questo Klondike della celluloide, in una corsa all’oro che manda in sollucchero gli appassionati e preoccupa tutti gli altri.
L’altro giorno stavo parlando dell’ultimo in ordine cronologico, Man of Steel, con un compare di lunga data. Per spiegargli il motivo per cui l’ho piuttosto disprezzato, gli ho nominato un paio di pellicole a tema supereroistico che ho trovato più convincenti. Il compare mi ha osservato con sguardo bovino, la bocca spalancata, le mani alla ricerca delle chiavi dell’auto per fuggire a perdifiato. Non aveva idea a cosa mi riferissi.
Ed è un peccato. Ci sono film, recenti o meno, che trattano l’argomento in maniera fresca e rivoluzionaria. Alcuni sono sottovalutati o disprezzati senza un motivo, altri sono semplicemente sconosciuti.
Oggi ve ne presenterò cinque, tanto interessanti quanto poco considerati dalle masse.
DARKMAN
Presente il 2002? Dài, quell’anno prima del 2003. Ora vi dico una roba che mi ricordo, forse l’unica vista la mia memoria ridicola, del 2002. Ero a mangiare il cornetto vuoto con la glassa al bar, quando mi fermo a sfogliare annoiato un quotidiano, proprio con l’entusiasmo di un rinoceronte a casa di un cacciatore sudafricano. E niente, l’occhio mi cade sulla rubrica delle recensioni cinematografiche.
Vedo la facciazza dell’Uomo Ragno, appena uscito nelle sale. La parte di me che non è ancora in preda all’orgasmo da zucchero sciolto decide di dare un’occhiata al paragrafo micragnoso. Il tizio del giornale principia con un «La prima prova di Sam Raimi nell’universo supereroistico» e io non finisco di leggere, no. Non ho tuttora idea di cosa pensasse il tipo di Spider-man, ché dopo una tale bestemmia non si meritava il mio tempo. Prima prova nell’universo supereroistico? Prima prova? Prima?
Machescherziamoveramente. Il buon Sam, prima di narrare le gesta dell’Arrampicamuri, aveva già scritto e diretto Darkman, pellicolone del 1990 con uno degli antieroi più fichi della storia del cinematografò.
Il protagonista, Peyton Westlake, è uno scienziato che ha passato gli ultimi anni a studiare una pelle sintetica, ottima per trattare pazienti fortemente ustionati, che si sta rivelando attualmente inutilizzabile per un difetto nella formula che la fa sciogliere dopo novantanove minuti di esposizione alla luce.
L’ironia della sorte vuole che lui stesso venga caramellato da un boss locale con una bella esplosione, lasciandolo sfigurato, psicologicamente instabile, senza senso del tatto né percezione del dolore. Come se non bastasse, la sua fidanzata sembra particolarmente interessata alle avance di un riccone locale e il fatto che il buon Peyton sembri un tiragraffi da gatti certo non lo aiuta a riconquistarla.
Capirete anche voi che un uomo potrebbe, come dire, sentirsi piuttosto irritato. Utilizzando i suoi nuovi poteri e la pelle sintetica come maschera per confondersi con il nemico, Peyton inizierà a masticare cattivoni come confetti, scoprendo nel processo un piano terribilmente terribile che mette a rischio la vita di un bel po’ di gente. Non che la cosa gli freghi, a dir la verità, ma già che è là a smarzagrare mafiosi per diletto, tanto vale farlo per un motivo vagamente etico.
Penso sia una dei miei film preferiti di Raimi, molto più compiuto di Spider-Man e, per quanto qualitativamente simili, più affascinante di Spider-Man 2. È positivamente dark, stiloso e con un protagonista totalmente folle, smascherando il classico cliché dell’eroe che nasce più forte da un trauma. No, i traumi ti ammazzano dentro e divorano la tua anima, altro che storie.
L’unica colpa di Darkman, per cui ormai passa solo su televisioni commerciali alle tre di notte come interruzione cinematografica fra una pubblicità e l’altra, è di non essere basato su un fumetto esistente, ma su una storia dello stesso Raimi.
A casa mia è un pregio, l’originalità intendo, ma per quanto sia considerato unanimemente un cult, di Darkman se ne parla sempre pochissimo.
UNBREAKABLE Unbreakable
Io non ho simpatia per M. Night Shyamalan. Principalmente perché devo copiaincollare il suo cognome tutte le volte, ché figurati se lo so scrivere perdavvero.
Ma anche perché molti dei suo film sono pretestuosi, fumosi, manieristi e vivono di quel colpo di scena che tanto, dopo che ne hai visti un paio sforzandoti di non morire dal sonno, sai che arriverà. Che Shyamalan se non ci piazza il colpo di scena, quello che dovrebbe gettare una nuova luce sulla storia e farti dire «Ammappate, non so compitare il suo cognome ma mi ricorderò di lui pessempre!», poi sta male, non digerisce la cena e diventa irritabile alle partite di briscola del circolo.
Succede sempre. Infatti quasi tutti i suoi film li trovo assolutamente insopportabili.
Tipo Il Sesto Senso, il cui unico merito è quello di essere il film più divertente da spoilerare della storia. Tipo The Village, una roba che vorresti prendere la bella protagonista e ficcarla in una betoniera accesa. Tipo The Happening che, curiosamente visto il titolo, ha la caratteristica straordinaria di durare un sacco senza che succeda assolutamente niente.
Ho scritto “quasi” perché Unbreakable è probabilmente il miglior film sulle origini di un supereroe di sempre. Sì, l’ho detto. Menatemi con un merluzzo surgelato se volete, ma la penso proprio così.
David Dunn è un addetto alla sicurezza di uno stadio di football. Un lavoro onesto, ma non proprio eccitante per lui, considerato che da giovane era considerato la futura stella del pallone ovale.
Poi un giorno il treno su cui viaggiava si spatafascia e muoiono tutti. Tutti tranne lui che, come per miracolo, non si è fatto assolutamente niente. Nemmeno una pellicina delle dita fuori posto, guarda.
Lo contatta un tipo strano, Elijah Price, che gli dice che magari, ecco, potrebbe avere un superpotere. Tipo essere indistruttibile, insomma.
Dunn non gli crede, che mica è possibile una roba così. E poi lui ha smesso di giocare a football proprio dopo un incidente. E questo Elijah è forse un po’ matto, costretto dalla sua malattia, l’osteogenesi imperfetta, a evitare qualsiasi contatto rischioso.
Anche se, magari, chissà…
E poi? E poi niente, ché il film si basa tutto sul rapporto fra David Dunn ed Elijah Price, due uomini agli antipodi, sul sottile filo che separa la mitologia del fumetto alla realtà, e lascia gli aspetti più fisici del supereroismo sullo sfondo, per quanto siano comunque presenti.
È tutto misurato, delicato, mai una parola o un’inquadratura di troppo, riuscendo a ricreare con un certo successo il processo psicologico che potrebbe subire un uomo sulla quarantina a cui, da un giorno o l’altro, venga ventilata la possibilità di essere più speciale di quanto abbia mai voluto pensare di essere. Nelle origini di un eroe voglio vedere la trasformazione interiore del protagonista, mica un pirla privo di senno che sperimenta le sue nuove capacità per un’ora come nel deprecabile reboot di Spider-Man.
E sì, c’è il colpo di scena finale. Del resto è Shyamleccetera, che ti aspetti. Infatti è forse la parte più debole, con il testo in sovraimpressione tipo Animal House in cui viene spiegato didascalicamente che fine facciano i protagonisti (ma anche sticazzi, non è importante).
A parte quel minuto di depressione prima dei titoli di coda, gli altri novanta meritano assolutamente il vostro tempo.
MYSTERY MAN
Ok, questo non è proprio necessario che lo vediate. Cioè, nel caso saltatelo pure e la gente comunque non vi leverà il saluto.
Ciò detto, Mystery Men è un film molto interessante per le sue tematiche e per lo stile con cui vengono trattate. Si può dire che sia un antesignano de Gli Incredibili, specialmente per lo stile con cui decostruisce gli archetipi classici del fumetto supereroistico, denudandone le intrinseche contraddizioni.
Detto in soldoni? Prende per il culo il mito dei superuomini. Non in maniera maligna e distaccata, no, ma dall’interno, come se fosse scritto da appassionati del medium e probabili divoratori bulimici di comics.
La storia parte da una riflessione tanto logica quanto poco considerata nelle strisce disegnate. Cosa abbiamo imparato dai fumetti? Che i cattivi perdono sempre e vengono rinchiusi in carcere o in un manicomio criminale. E che gli eroi, quelli veri, perdono raramente. E quando succede, ritornano più forti di prima. Essendoci tutto sommato un numero finito di psicotici con manie di grandezza e considerando gli eroi praticamente infallibili, prima o poi è naturale che la criminalità venga completamente estirpata.
E a quel punto cosa rimane del supereroe? Va in pensione e si gode l’ottimo lavoro o piuttosto entra nel panico avendo perso la sua unica ragione di vita?
La risposta a queste domande ce la dà Captain Amazing, l’eroe degli eroi, riuscito dopo anni a eliminare qualsiasi reato dalla città che protegge. Ed è quindi intimamente e profondamente disperato. Come tenersi buoni gli sponsor? Cosa farsene delle proprie capacità straordinarie se non servono più a nulla?
Meglio liberare un supercriminale o due, pensa il Capitano. Giusto per tenersi in forma, mica per altro. Sì, è un atto criminale, ma è a fin di bene, giusto?
E poi succede che il criminale ne libera altri e Captain Amazing viene imprigionato. L’eroe degli eroi è fuori gioco e a salvare la baracca ci devono pensare degli eroi improbabili, con poteri che variano dallo stupido all’inutile. Come Mr. Furious la cui capacità speciale è quella di arrabbiarsi per ogni sciocchezza. Come Hulk che poi diventa forte? No, si arrabbia e basta.
Riusciranno i nostri patetici scarti umani a fare la cosa giusta, nonostante siano carenti in tutto a parte nella volontà di fare del bene?
È una domanda retorica, ché siete ormai grandi per sapere come finiscono sempre i film americani commerciali.
Mystery Men è un film che non considero necessario perché molti spunti interessanti si perdono per strada, probabilmente grazie a produttori lungimiranti quanto un tabagista vicino a una mucca scorreggiona, ma rimane gradevole. E, soprattutto, c’è dell’anima dietro alle faccette e alle battute infantili. E tantissimo amore per il fumetto.
Una robetta, vero, ma una robetta fatta con il cuore.
Ovviamente ha bombato ai botteghini, ché se c’è Ben Stiller fra gli attori e il tapino non si fa azzannare ai testicoli da un cane di piccola taglia, che senso ha guardarlo per lo spettatore medio?
SUPER
Presente Kick-Ass? Be’, Super è la sua versione adulta, cinica e grottesca. Dove la versione cinematografica (ed edulcorata) della serie di Millar cercava di smussare gli angoli e creare un legame empatico fra il protagonista e lo spettatore, Super non ha problemi a prenderti a calci nelle palle, facendoti sentire costantemente a disagio nel vedere un uomo adulto girare in calzamaglia, per giunta per i motivi sbagliati.
Cosa spinge una persona comune a diventare un vigilante? Abbiamo avuto molte risposte, nel corso degli anni, partendo dal capolavoro che risponde al nome di Watchmen fino al già citato Kick-Ass. Si va dal senso di giustizia al narcisismo, dal supereroismo come forma di ribellione verso la banalità del quotidiano al disordine post-traumatico.
Per Super, il vigilante è semplicemente uno che ha completamente sbroccato. Sei una nullità per tutta la vita, un frustrato incapace di reagire a qualsiasi stimolo esterno e poi a un certo punto non ce la fai più, ti viene un esaurimento nervoso e ti sembra assolutamente ragionevole metterti una maschera, prendere un’arma e portare la giustizia per le strade. Nonostante nessuno ti abbia chiesto assolutamente niente, anzi, se ti fai un blister di cazzi tuoi sarebbe meglio, grazie.
È esattamente quello che succede a Frank Darbo, un pover’uomo dall’autostima di un copertone sgonfio e dal carisma di un cartone vuoto del latte. La bellissima moglie, l’unica cosa decente nella sua miserabile vita, prima lo tratta come un cretino e poi diventa una tossica, scappando infine con il suo spacciatore, tanto pericoloso quanto affascinante.
Frank non riesce a farsene una ragione, fino a quando, durante un programma di una televisione cristiana, non ha l’illuminazione: lui è su questa terra con un compito preciso: combattere il crimine in tutte le sue forme. E, incidentalmente, riconquistare l’amore della sua vita.
Con l’aiuto della sua fida spalla, una ragazzina ancor più sbroccata di lui, la neonata Saetta Purpurea porterà nuovo ordine in città o, più ragionevolmente, sembrerà solo un altro matto con istinti violenti e un futuro sicuramente tragico?
Questa è più sottile, ma è una domanda retorica anche questa. È un film indipendente americano.
Super è pieno di umorismo nero. Una roba che trabocca, proprio. Che è anche il motivo per cui è il mio film preferito fra i cinque che presento oggi, seppure sia conscio non si tratti di una pellicola per tutti. È brutale nella sua sincerità, crudo nella messa in scena e indubbiamente iconoclasta. Adorabile, insomma.
Se volete sapere come vi vedrebbero se indugiaste nel sogno di diventare un eroe mascherato, Super ha tutto ciò che cercate. Più altre cose che vi ficca di forza in bocca, che lo vogliate o meno.
CHRONICLE
Sapete cosa sopporto ancor meno dei colpi di scena di Shymalabimbumbam? Il genere cinematografico del found footage. Sì, dài, quei film in cui il punto di vista è sempre quello del cameraman amatoriale che urla e scuote la cinepresa come se fosse in preda alle convulsioni. Presente The Blair Witch Project? Quello. La gente gridava al capolavoro mentre io cercavo un sacchetto per vomitare.
Per carità, è un mezzo come l’altro per tenere bassi i costi, ma nondimeno mi fa venire letteralmente il mal di mare ed è una roba stilisticamente povera che più povera non si può.
«Ehi, Niobio, hai scritto una tesi di laurea triennale soltanto di cappelli introduttivi, che ne dici se non tagli e ci dici subito che Chronicle appartiene a questo genere ma ti piace lo stesso?»
Echecavolo, mai una soddisfazione, eh?
Sì, Chronicle mi piace anche se appartiene a un genere che detesto.
Mi piace perché parla di superpoteri, ma non di supereroi. Mi piace perché sfata il mito dei grandi poteri che portano grandi responsabilità, mostrando un lato più umano e problematico a un tema fin troppo abusato.
Ci sono tre amici che una sera trovano un artefatto, probabilmente alieno, che dona loro poteri telecinetici. Al contrario degli eroi Marvel e DC, i ragazzi non hanno alcuna voglia di aiutare il prossimo. Vogliono solo divertirsi e tenere la cosa per sé, come uno dei tanti segreti che adoriamo avere con gli amici quando siamo adolescenti; ci fanno sentire in intimità e ci evitano di dover comunicare davvero, facendoci forza con le sole affinità che condividiamo.
Ma un potere di tale portata non è una semplice affinità né un gioco. La carenza di comunicazione, il disagio provocato dalla propria diversità, più umana che superumana, e la fragilità psicologica di uno dei tre porterà a una spirale di violenza, dolore e distruzione inaspettata.
Si tratta di un film che funziona bene su due piani narrativi distinti, a prima vista incompatibili. Funziona come racconto struggente di una fase dolorosa della vita di noi tutti (sì, poi cresci e ti sembra che sia stata tutto sommato una figata, ma l’adolescenza certe volte è terrorizzante e pericolosa e confusa), funziona come thriller sovrannaturale.
Riesce a unire due filoni a prima vista così diversi grazie alla credibilità della sceneggiatura che si concentra più sui personaggi che sull’intreccio, a una recitazione naturale e a una sensibilità registica che mantiene costantemente il suo occhio sui protagonisti, senza nascondere o addolcire niente.
C’è anche un altro aspetto piuttosto singolare della pellicola che è anche uno dei suoi punti di forza, ma non posso parlarne apertamente per non rovinarvi il finale. Diciamo che per una volta ci viene mostrato un punto di vista diverso sull’uso dei poteri e le motivazioni dietro a certe scelte, apparentemente antagoniste senza alcuna ragione.
Fra i nominati, è forse il meno conosciuto. Vi consiglio la visione, fosse soltanto per non essere l’unico in Italia o quasi.