Qualche tempo fa mi trovavo in treno durante una giornata particolarmente
calda e sonnacchiosa; il paesaggio arso dal sole si srotolava
pigramente fuori dal finestrino, e particelle di polvere simili a nugoli
di minuscoli insetti scintillanti danzavano nella luce mentre il
ritmico sobbalzare del vagone sferragliante mi cullava verso un torpore
sfinito e appiccicaticcio.
La mia mente stava già evaporando in volute di pensieri sempre
più simili a sogni, quando accadde.
Ci fu un brivido nell’aria; una sorta di irrigidimento
nell’impalpabile velo della realtà, come se qualcuno ne stesse tirando
uno dei lembi invisibili rischiando di lacerarla.
Aprii gli occhi, che subito vennero feriti dal sole e iniziarono a
lacrimare, e mi guardai attorno: un bambino beveva avidamente da
una bottiglietta, un signore faceva le parole crociate, una ragazza
ascoltava la musica con le cuffiette.
Sembrava tutto come prima e nessuno dava l’impressione di
aver notato qualcosa di strano o anche solo vagamente interessante,
eppure avvertivo ancora quella sensazione di strappo imminente.
Una mosca ronzava contro il finestrino incrostato di sudiciume:
brutta e zampettante, il gioco della prospettiva la trasformava in un
mostro enorme che incombeva su campi, alberi e case in miniatura.
D’un tratto la mosca volò via lasciandomi libera la visuale, e così
notai che, contro l’azzurro abbagliante dell’orizzonte, si stagliava
nel cielo una sagoma arcuata; ricordava gli uccelli o i pipistrelli a
forma di M che i bambini tracciano nei loro disegni, e sbatteva con grazia le ali, ripiegandole e distendendole, ripiegandole e distendendole.
Premendo la fronte contro il vetro del finestrino, aprii e chiusi le
palpebre con foga nella luce spietata, cercando di mettere a fuoco la
sagoma. Si stava avvicinando, ma non riuscivo a capire di che genere
di animale si trattasse: era troppo grande per essere qualsiasi cosa e,
ad ogni battito delle ali possenti, si faceva sempre più grande, sempre
più grande, sempre più grande.
Finché la sua mole non oscurò il sole proiettando al suolo
un’ombra frastagliata e minacciosa che prese a strisciare sotto la creatura
scivolando lesta sul terreno come una macchia d’inchiostro; la
vasta ombra ingoiò il gregge di pecore che pascolava nel campo affianco
al quale stavamo sfrecciando. Le pecore, impazzite di terrore,
incominciarono a sparpagliarsi. Ma la creatura volante planò dal cielo
generando tempestosi flutti argentei tra le spighe d’erba e finalmente
potei distinguere la membrana traslucida delle ali, il ventre corazzato,
il lungo collo sinuoso, il capo irto di corni e i formidabili artigli che
calarono saettando per ghermire una pecora particolarmente pasciuta.
Il drago riprese quota con due vigorosi battiti d’ali, il suo bottino
ben saldo tra le grinfie, lasciando le pecore a correre in circoli; presto
la grande ombra rimpicciolì e scomparve, e la sagoma a forma di M si
dileguò nella lustra cortina del cielo.
Ovviamente, l’avvenimento riportato qui sopra non si è mai verificato.
Non fuori dalla mia mente, perlomeno: in caso contrario, suppongo
che gli altri passeggeri del treno non avrebbero stentato a notarlo.
Questa ha semplicemente voluto essere un’esemplificazione di
ciò che mi piace chiamare l’effetto drago. L’effetto drago è quel fenomeno per il quale qualsiasi evenienza, non importa quanto apparentemente
priva di fascino, risulta immediatamente più esaltante con la
semplice aggiunta di un drago.
Così una visita dal medico, una tappa al supermercato, un tedioso
viaggio in treno può trasformarsi in un’esperienza memorabile; basta
immaginare che un drago piombi giù dal cielo all’improvviso.
Questo principio, trovo, vale tanto per la realtà quanto per la finzione:
i film western sono interessanti, ma un film western con i draghi?
Fantastico (in tutti i sensi).
Il fantasy è, per eccellenza, il genere dell’effetto drago: è quel
reame in cui ogni piccolo avvenimento può trasformarsi in una grande
avventura, è quel linguaggio che si rivolge alla parte più libera e
creativa che risiede in ognuno di noi, è la più sublime e pura delle
finzioni.
Tanto in letteratura quanto in cinematografia, il genere fantasy è
in grado di evocare nei suoi fruitori quelle suggestioni arcane che da
sempre sussurrano all’orecchio dell’umanità e, in campo filmico, lo fa
in maniera letteralmente spettacolare.
Come si fa, dunque, a trasporre sul grande schermo l’incanto che
permea le pagine di un libro?
E com’è successo che un genere di nicchia sia balzato agli onori
della critica e del pubblico, finendo per dominare sia gli scaffali delle
librerie che le sale dei cinema?
In questa tesi ho cercato di dare una risposta a queste e ad altre
domande; non è stato facile, ma durante i lunghi e tediosi mesi di studio,
ricerca e scrittura, quando all’improvviso i discorsi sul fantasy
non mi sembravano poi così magici, immaginavo che un drago atterrasse
nel mio cortile e che con il grande occhio sbirciasse il mio lavoro attraverso la finestra per assicurarsi che gli stessi rendendo giustizia.