La tradizione tristaniana consta nella maggior parte dei casi
di testimonianze incomplete. Le fonti più antiche pervenuteci
risultano spesso mutilate da una trasmissione che le ha
consegnate in stati di frammentazione e lacunosità difficilmente
risanabili o comunque di ardua collocazione cronologica,
geografica e linguistica.
Questo stato appare ancor più notevole se si tiene conto
della diffusione capillare e della rinomanza di cui godette la
leggenda, al punto da produrre tante varianti in un così breve
lasso di tempo. Un solo secolo ha permesso la deflagrazione di
un’originaria estoire in due redazioni in versi così differenti tra
loro come quelle di Thomas e Béroul, nei lais di Maria di Francia
e nell’elaborazione episodica delle Folies; per non parlare delle
reazioni di Chrétien de Troyes e del rimaneggiamento tedesco di
Eilhart von Oberg e delle rielaborazioni di un testo tra i più
antichi, quello di Thomas, da parte di Gottfried von Strassbourg
e di frate Roberto. Quando la nascita del primo romanzo in prosa
sembra terminare la produzione tristaniana ecco sorgere le
continuazioni di Gottfried e le traduzioni inglesi ed italiane.
Gli studi, oltre ad essersi cimentati nelle edizioni critiche,
fondamentali per il lavoro sui testi, si sono indirizzati verso
problemi interpretativi limitatamente a singole versioni o al
massimo verso il confronto di due autori, dando luogo alle gare
tra Thomas e Béroul per l’accaparramento della data più alta o
alle diatribe sull’alterco tra il Tristan e il Cligès.
Non si contano poi gli “scavi” indefessi alla ricerca delle
derivazioni di volta in volta classiche, orientali o celtiche
all’interno di un’ulteriore dicotomia che vedeva i due fronti
impegnati a sostenere, da un lato, la teoria romantica
dell’aggregazione e della sedimentazione spontanea di tradizioni
diverse, dall’altro, quella della corruzione di un testo letterario
preciso e già definito in epoca antica, finendo per arrancare
all’interno di una rete di derivazioni forse tanto difficili da
identificare quanto sterili nella loro insignificanza.
Attirati inoltre da singoli aspetti del testo tristaniano, gli
studiosi hanno focalizzato spesso l’attenzione su problemi di
complessa soluzione come la triplicazione del personaggio di
Isotta, l’eredità delle vele bianche e nere, o l’anteriorità della
passione rispetto al filtro amoroso.
Ci si può, quindi, rendere conto di come le analisi del
“multi-testo” tristaniano si siano piegate ad appoggiare o a
portare la propria testimonianza in merito a ricerche, dalle più
specifiche alle più generiche, come quelle sul meraviglioso nella
letteratura medievale, o sulla concezione che i poeti medievali
avevano dell’amore o ancora sui temi celtici in voga nel
Medioevo francese.
Era necessario che gran parte dei contributi finissero per
riguardare più o meno direttamente l’elemento narrativo della
pozione amorosa.
FRAPPIER sembra uno dei pochi, tuttavia, ad aver
privilegiato il ruolo del filtro d’amore nel suo fondamentale
contributo che, tuttavia, volto alla delimitazione dei confini tra
versione comune e versione cortese, risulta intaccato da quella
volontà dicotomica finendo per sottomettere l’analisi del tema
della pozione ad una funzione secondaria, a differenza di quanto
compiuto ad esempio per il don contraignant.
La pozione amorosa, oltre ad aver attirato e scatenato la
fantasia di moltissime culture, risulta, quale motivo principe
della leggenda, il migliore involucro atto a veicolare visioni sia
personali che collettive.
L’intento, nel mio lavoro, non consisterà, dunque, come
teme VARVARO, nell’«annaspare nelle mitiche origini celtiche e
indoeuropee della storia di Tristano e Isotta», né nel confutare
la legittimità di riconoscimenti derivativi già appurati, ma,
attraverso l’esame almeno delle fonti più antiche, si cercherà di
verificare, limitatamente al motivo del filtro, la presenza di
processi rielaborativi, le loro eventuali entità e motivazioni.
Si rende perciò necessario, oltre ad un inquadramento che implichi le eredità classiche e celtiche della leggenda, anche un
coinvolgimento degli ambiti privilegiati con cui, verosimilmente,
essa venne a contatto: quello del meraviglioso e della retorica.
Dall’esame delle fonti si tenterà di estrapolare quelle che
possono essere considerate le peculiarità interpretative delle
singole redazioni, non solo oggi, ma anche in rapporto alla
posizione che occuparono all’interno di una produzione di cui
gli stessi autori medievali fuono sicuramente a conoscenza, ed in
relazione alla probabile ricezione da parte dei lettori loro
contemporanei.
Nel superamento dei particolarismi dei vari rimaneggiatori
sarà utile indagare trasversalmente le redazioni prese in esame,
tenendo presente (e motivando) il carattere eversivo della
leggenda. Ci si preoccuperà, perciò, di mettere in evidenza le
diversità e le affinità tra i vari testi, relazionandoli in rapporto
alle posizioni socio-culturali dei rimaneggiatori e alle tendenze
più o meno responsabilizzanti nei confronti dei protagonisti.
Si tenterà di determinare se e quale fu il peso del rapporto
socio-culturale tra letteratura popolare e letteratura di corte, alle
prese con temi, correlati al motivo in esame, quali l’incantesimo,
il rapimento, l’adulterio, fino a riguardare la formazione e
l’influsso del concetto di ‘amor cortese’.
Posti a confronto, i rimaneggiamenti dovranno, dunque,
rendere conto, in base alle linee di sviluppo più evidenti, dei
processi di riscrittura, se tale fu, nonché delle possibili
motivazioni, delle probabili modalità, degli evidenti effetti su
una tradizione travagliata.