Quando The Fellowship of the Ring, il primo volume della trilogia di The Lord of the Rings, fu pubblicato nel 1955, sconvolse l’intero mondo accademico. Mentre il grande pubblico decretò un successo immediato e lo eresse ben presto a mito generazionale, nell’ambiente universitario fu considerato, nella migliore delle ipotesi, come il vezzo di un eccentrico professore di Oxford, cosa che si era già verificata in passato con Alice in Wonderland di Lewis Carroll (1865) e, di recente, con The Lion, the Witch and the Wardrobe di C.S. Lewis (1950). I critici si schierarono senza mezzi termini a favore o contro Tolkien. Fra il coro di voci ostili spicca quella di E. Wilson, che non solo si sentì insultato dalla proposta di recensire la trilogia, ma arrivò a denigrare i critici che l’avevano apprezzata, affermando che “certain people...have a lifelong appetite for juvenile trash” Alla peggio, The Lord of the Rings fu relegato tra i libri non degni di entrare nel panorama letterario, o liquidato come follia giovanile. All’unanimità fu bollato come un’opera ‘escapista’. Oggi, dopo oltre quarant’anni, l’opera di Tolkien continua a suscitare aspre reazioni da parte dell’intellighenzia accademica e approvazione incondizionata dal pubblico. The Lord of the Rings rimane un testo controverso e frainteso, come dimostrano i risultati di un sondaggio indetto nel 1997 dalla catena di librerie Waterstone’s: la trilogia è stata votata miglior opera letteraria del secolo dai lettori, ma la notizia è stata accolta dai critici come una sorpresa sgradita.